venerdì 23 maggio 2025
In Italia l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il valore più alto tra i minori di 17 anni. Per gli esperti, la condizione di svantaggio si trasmette spesso da una generazione all’altra
I bambini poveri sono gli adulti fragili di domani: «Fermiamo la spirale»
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Hanno meno probabilità di accedere a un’istruzione continuativa di qualità, raggiungere livelli di istruzioni elevati, accedere a posizioni qualificate e ben retribuite una volta che arrivano nel mercato del lavoro: sono i bambini nati in famiglie povere, condannati a ereditare questo svantaggio che li accompagnerà dall’inizio alla fine della loro vita. Secondo l’Istat gli individui poveri in Italia sono 5 milioni e 700 mila. Quasi un milione e trecentomila sono minori in povertà assoluta. «Sono loro i più poveri tra tutte le generazioni – spiega Marianna Filandri, professoressa associata in Sociologia economica all’Università di Torino –. Nel nostro Paese, infatti, i bambini sono tra i soggetti più vulnerabili. L’incidenza della povertà assoluta raggiunge il valore più alto proprio tra i minori fino ai 17 anni (13,8%), superando significativamente le percentuali registrate tra i giovani adulti (tra i 18-34 anni all’11,8%), gli adulti (tra 35-64 anni al 9,4%) e soprattutto gli anziani (al 6,2%)».

Degli effetti che queste carenze hanno sulla vita dei singoli e sulla società, l’esperta di disuguaglianze sociali parlerà anche il 31 maggio a Torino in occasione del Festival Internazionale dell’Economia, in un incontro dal titolo “I più fragili tra i fragili: gli effetti delle disuguaglianze economiche sui bambini”. Quelli che gli studiosi osservano sono «circoli viziosi in cui bambini poveri diventano adulti poveri, la condizione di svantaggio si trasmette da una generazione all’altra, così come quella di vantaggio, che non dipendono dunque tanto dalle capacità e dagli sforzi che fanno gli individui lungo il corso della vita». Il nascere in un certo tipo di contesto determina in maniera molto rilevante il destino, il futuro degli individui. La principale causa di povertà minorile è infatti il reddito della famiglia in cui si nasce e tra queste le più vulnerabili sono appunto quelle con figli: «Osservando le famiglie con minori, emerge che la povertà assoluta tende a crescere con l’aumentare del numero di figli. L’incidenza passa dal 6,6% nelle coppie con un solo figlio al 18,8% nelle coppie con tre o più figli, evidenziando il grave svantaggio delle famiglie numerose».

A questo fattore se ne possono affiancare altri, come quello di vivere nel Mezzogiorno o avere un background migratorio. Ma le cause di povertà sono tante e intrecciate tra loro in una trama complessa. Le condizioni di indigenza sono strettamente legate alle caratteristiche del mercato del lavoro e alla debolezza del sistema di welfare che influenzano le condizioni di vita di tutti i componenti di un nucleo. «Certamente c’è un impoverimento dato dal fatto che il lavoro è meno in grado di proteggere dalla povertà rispetto al passato. Il lavoro povero è diventato un fenomeno strutturale e la stagnazione dei salari ha ridotto la capacità di spesa effettiva delle famiglie», specifica Filandri. Incide poi il basso tasso di occupazione femminile, che porta ancora molti nuclei a dover contare su un solo reddito, ma anche «l’indebolimento dello stato sociale, con tutti quei servizi che in passato venivano forniti gratuitamente o comunque erano più accessibili e adesso lo sono meno o con un costo eccessivo».

È indubbio che «dove il reddito disponibile non consente di accedere a beni e servizi ritenuti fondamentali», questo ha un’incidenza profonda sullo sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo dei minori. Le disuguaglianze correlate allo status socio-economico agiscono fin dai primissimi mesi di vita. «Ad esempio, i bambini che vivono in contesti poveri sono più esposti a problemi di salute, uno su tutti l’obesità, e presentano minori competenze cognitive e linguistiche già dalla prima infanzia, con divari che crescono con l’età. Inoltre hanno minore accesso ad attività ricreative, sportive e culturali che sono fondamentali per la socializzazione e la crescita personale», spiega. Le conseguenze non si fermano ai risvolti sull’individuo. I futuri adulti poveri saranno un costo da sostenere: «La povertà, poi, ricade ulteriormente sulla collettività anche perché c’è uno spreco di talenti e di risorse». Quando una società non è in grado di offrire pari opportunità educative e professionali alle nuove generazioni – spiega ancora Filandri –, finisce per limitare il proprio potenziale di sviluppo, innovazione e crescita: «Così si indebolisce la propria competitività economica, aumentando fenomeni di migrazione giovanile e perdita di capitale umano qualificato. Le diseguaglianze intaccano anche la coesione sociali. La povertà minorile, in questo senso, non è solo una questione privata, ma un indicatore chiaro della tenuta sociale di un Paese».

Di fronte a questo quadro, che «scandalizza» soprattutto perché si tratta di bambini per definizione non responsabili della loro situazione, bisognerebbe adottare delle misure efficaci. Per interrompere questo circolo di deprivazione e marginalità, suggerisce l’esperta, «servono politiche pubbliche strutturate, inclusive e capaci di agire in modo compensativo nei confronti delle disuguaglianze, mentre oggi, invece, le politiche risultano spesso frammentate e inadeguate». Il nodo centrale resta quello del sostegno economico alle famiglie con figli, ma oltre ad assegni familiari e bonus, «che si rivelano spesso inefficaci, troppo generici o mal calibrati, e non sempre raggiungono le famiglie che ne hanno realmente bisogno», si deve intervenire per contrastare le disuguaglianze alla base e bloccarne la riproduzione. «Chiaramente – conclude la sociologa – a queste misure per il sostegno economico delle famiglie vanno affiancate anche quelle che riguardano le politiche sociali e del lavoro, quindi la stabilità dei salari e il loro livello. Bisogna invertire la tendenza, superare queste situazioni incancrenite e intergenerazionali».

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