martedì 30 maggio 2023
Uno studio firmato da Antonello Scialdone analizza la riduzione in schiavitù, in grado di procurare guadagni illegali per decine di miliardi
«Invisibili» e sfruttati: la globalizzazione della tratta

Ansa

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Lavoro forzato, riduzione in schiavitù, sfruttamento sessuale delle donne, vendita di minori ed espianto di organi, sono le “merci” che caratterizzano il fenomeno globale della tratta degli esseri umani. Un’economia parallela che genera enormi flussi di profitto sulle spalle di persone che non hanno nessun tipo di protezione sociale. Ad approfondire i tanti volti che caratterizzano questo “mercato” si è rivolto recentemente lo studio curato da Antonello Scialdone dal titolo Il lato oscuro della globalizzazione. Osservazioni su traffico di esseri umani e prestazioni servili. Scialdone è dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) e responsabile della struttura “Economia civile e processi migratori” nello stesso ente.

Lo scritto, pubblicato da Inapp, combina fonti provenienti da istituzioni internazionali insieme con l’analisi della letteratura scientifica e propone chiavi di lettura emergenti che possono contribuire a comprendere meglio le difficoltà di intervento specie in merito ai profili di vittime e trafficanti. Fornisce inoltre un quadro ampio delle azioni istituzionali messe finora in campo nel contesto italiano. Dentro questo mondo fatto di anime “invisibili” c’è tutto l’orrore dello sfruttamento dei forti sui deboli. Denaro e potere rappresentano il carburante che muove questo commercio, che interessa ormai tutte le aree del pianeta. Il lato oscuro della globalizzazione tiene accesi i riflettori su questa inquietante forma di creazione del profitto. Il volume di affari mosso dall’economia dello sfruttamento è impressionante: il lavoro forzato è in grado di realizzare, su base annuale, guadagni netti illegali superiori a 150 miliardi di dollari, mentre il sex trafficking, ritenuto il crimine transnazionale più redditizio, riesce a produrre profitti pari a 23,5 miliardi nella sola Europa, posizionandosi per volume d’affari subito dietro a quello delle droghe. Dalle informazioni disponibili emerge che la tratta degli esseri umani ai fini del loro sfruttamento per prestazioni servili interessi ormai in tutto il mondo più di 40 milioni di persone. Secondo una delle fonti internazionali più accreditate, lo United Nations Office on Drugs and Crime, lo sfruttamento sessuale rappresenta la metà esatta del fenomeno, seguito dal lavoro forzato che riguarda il 38% dei casi.

Le forme di sfruttamento sono molteplici e vengono generate da pratiche subdole ed ingannevoli come la frode, la coercizione o la violenza. Queste tre azioni danno appunto vita a diverse forme di economia “oscura”, che vanno dalla prostituzione al lavoro coatto, all’accattonaggio, ai matrimoni precoci e/o forzosamente imposti, fino alla vendita di minori e all’espianto di organi. Tutto ciò conferma che la tratta di esseri umani si caratterizzata come una vera e propria industria, in cui i venditori che possono avere diversi posizionamenti (dal singolo trafficante a gruppi organizzati) offrono a numerosi acquirenti prodotti differenziati (vulnerable individuals) sulla scorta delle preferenze del compratore. Praticamente un moderno e ben organizzato mercato di schiavi che può contare su coperture e complicità a vari livelli, e che soprattutto si rivolge ad una “domanda” di prestazioni che purtroppo non conosce flessioni.

Dalle tendenze osservate, il lato oscuro della globalizzazione è sicuramente un mercato in crescita. Negli ultimi dieci anni si sono registrati (soprattutto nei continenti asiatico e americano) picchi nell’identificazione delle vittime, il cui numero complessivo potrebbe aggirarsi intorno a 600-800mila unità per anno. Rispetto alle situazioni conclamate a livello globale, stime diffuse lo scorso anno dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni fanno notare tra i motivi predominanti sta accorciandosi il divario tra sfruttamento sessuale e lavoro forzato, poiché quest’ultima forma di coercizione appare in crescita particolarmente per Africa e Medio Oriente, diffondendosi soprattutto negli ambiti dei servizi domestici, dell’edilizia e dell’agricoltura.

Anche l’Italia non sfugge a queste forme di criminalità organizzata. Il nostro Paese, oltre ad essere territorio di transito verso l’Europa centro-settentrionale, rappresenta sia per la sua posizione geografica sia per alcune caratteristiche economico-sociali un crocevia importante di flussi di persone che attraversano il Continente. Non tutte le situazioni riconducibili al commercio di esseri umani hanno assunto nel nostro Paese la medesima rilevanza: ad esempio l’accattonaggio, al netto della percezione che è possibile averne soprattutto in aree metropolitane, resta fortunatamente un fenomeno minoritario e ancora relativamente poco organizzato. Le evidenze maggiori riguardano invece lo sfruttamento lavorativo nel settore agricolo, che è questione diffusamente nota e indagata anche per le sue interconnessioni con la complessa problematica del caporalato. Nell’ambito del “Piano di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato” tuttora in vigore, lo scorso anno sono state approvate in Conferenza Unificata Stato-Regioni le Linee guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime di sfruttamento. Tali Linee guida forniscono principi generali e standard comuni per la realizzazione di un Meccanismo Nazionale di Riferimento finalizzato a creare un modello di intervento per accrescere la fiducia delle vittime nelle istituzioni e spezzare le catene del lavoro iniquo. Altrettanto significativi gli sforzi profusi per contrastare le catene della prostituzione, che alimenta flussi importanti di mobilità femminile dalla Nigeria. Lo studio Inapp contiene dati significativi sul fenomeno e rende manifeste varie implicazioni dei rapporti ambigui tra vittime e trafficanti.

Nel testo Scialdone presenta tra le altre cose luci ed ombre delle azioni istituzionali di contrasto realizzate negli ultimi anni nel nostro Paese: ne risulta un sistema complesso fatto per rispondere a un fenomeno sfuggente e difficile da monitorare e fronteggiare. Per rafforzare le misure di lotta al trafficking di esseri umani, a fine ottobre scorso anno è stato approvato dal governo allora in carica il nuovo Piano nazionale d’azione anti-tratta, riferito al periodo 2022-2025. Nel documento si definiscono le strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della tratta anche attraverso azioni di sensibilizzazione per l’emersione del fenomeno e per l’integrazione sociale delle vittime.

Spetta ora all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni darne attuazione. Per essere più efficace la strategia anti-tratta dovrebbe raccordarsi, sempre di più e meglio, con i servizi sociali territoriali, che negli ultimi tempi si sono dimostrati essenziali per l’erogazione di interventi assistenziali rivolti anche a persone sfruttate e ridotte in condizioni di estrema vulnerabilità. Il cammino è appena iniziato, la strada da fare è ancora lunga, ma tanta è la voglia di spezzare le catene della violenza per restituire dignità a persone maltrattate e condannate a prestazioni servili.

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