mercoledì 8 settembre 2021
Con la crisi del 2001, oltre la metà della popolazione sprofondò in miseria, oggi la città argentina è ufficialmente la più sostenibile del pianeta nella produzione di alimenti
Rosario, la "capitale" dei disoccupati rinata con gli orti urbani
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Era l’annus horribilis dell’Argentina. Alla fine del 2001, un mix di politiche ultraliberiste, privatizzazioni selvagge e corruzione mandò in bancarotta l’intero sistema economico nazionale. La crisi polverizzò l’11 per cento del Pil. Oltre metà della popolazione sprofondò nella miseria. Con i risparmi intrappolati nelle banche da un provvedimento governativo, insegnanti, funzionari, impiegati e operati sopravvissero grazie al baratto e alle mense popolari. Rosario – la terza città del Paese per numero di abitanti e importanza – divenne la “la capitale dei disoccupati”, con il 22,5 per cento della manodopera senza impiego. La metropoli decise, però, di non arrendersi alla tragedia. Il crack si trasformò nell’occasione di sperimentare un nuovo modello di sviluppo possibile, rispettoso dei lavoratori e del Creato.

Vent’anni dopo, Rosario – nota al livello internazionale come patria del calcio argentino nonché di Ernesto Che Guevara – è ufficialmente la città più sostenibile del pianeta nella produzione di alimenti. Ad assegnarle il prestigioso riconoscimento per il 2020-2021 è stato il centro Ross del World resources institute di Washington che l’ha scelta fra 262 partecipanti di 55 Paesi differenti. Alla fine, la commissione, formata da oltre 450 scienziati, economisti e esperti, ha selezionato cinque finaliste: la messicana Monterrey, la kenyana Nairobi, la capitale britannica Londra, l’indiana Ahmedabad e, ovviamente, Rosario. La scelta è finalmente ricaduta su quest’ultima. Merito del “Progetto cintura verde”, evoluzione del “Programma di agricoltura urbana”, creato dal Municipio come risposta d’emergenza al tracollo di inizio millennio. «A febbraio 2002, quando abbiamo cominciato, il piano era una misura di contenimento sociale per garantire cibo alle migliaia di persone rimaste senza reddito. In passato, c’erano state piccole esperienze di orti urbani e tanti in città avevano esperienza di lavoro agricolo. Le abbiamo strutturate in modo complessivo», spiega Maria Cantore, sottosegretaria all’Ambiente e allo spazio pubblico del Comune di Rosario. Il risultato è stato un innovativo sistema in grado di combattere insieme la crisi climatica e quella economica grazie, appunto, agli orti urbani. Terreni incolti e giardini convertiti in campi agricoli grazie alla distribuzione di semi, attrezzature e, soprattutto, alla formazione garantita dal Municipio. Pun-to quest’ultimo cruciale: agli aspiranti coltivatori è stato insegnato come produrre in modo ecologico, senza cioè l’impiego di sostanze chimiche. «È stata forse la parte più impegnativa. L’impiego di fertilizzanti e pesticidi è molto diffuso. Non è stato facile far capire alle persone che se ne poteva fare a meno», sottolinea Cantore. Alla fine, però, il messaggio è passato. Anzi, proprio l’educazione ambientale è diventata il cuore dell’iniziativa.

Quando, dunque, nel 2007, una pioggia record fece esondare il Paraná e buona parte della città fu allagata, il Comune pensò di utilizzare gli orti non solo per contenere la fame, bensì per arginare la furia del fiume. I terreni coltivati hanno una maggiore capacità di assorbire l’acqua, fungendo da barriera naturale. Pian piano, dunque, l’aspetto ecologico s’è andato sviluppando, aprendo la strada a quello che ora si chiama “Progetto cintura verde”. Lo compongono sette parchi-orto e sei orti di gruppo, estesi lungo venticinque ettari. Ci lavorano 250 donne e uomini – in uguale proporzione – che producono in media 420 tonnellate all’anno di ortaggi e verdure coltivati in modo agro-ecologico e salutari e commercializzate in modo diretto. Un elemento questo essenziale.

Proprio la riduzione al minimo delle filiera - e dunque del trasporto delle derrate - rende il Progetto cintura verde un prezioso alleato nel contrasto al cambiamento climatico. «Il nostro paesaggio urbano è profondamente mutato: i suoli degradati sono stati recuperati e trasformati in spazi di incontro e di preservazione della biodiversità». Il piano ha contagiato anche l’area circostante dove vi sono 50 ettari di coltivazioni estensive da cui provengono 2mila tonnellate all’anno di alimenti, in gran parte agro-ecologici. Risultati inimmaginabili vent’anni fa. Rosario, però, non si accontenta. Sono molte le iniziative in cantiere per il prossimo futuro. «Stiamo lavorando per realizzare nuovi orti urbani realizzando degli accordi con le imprese che hanno terreni inutilizzati. Vorremmo, inoltre, ampliare gli spazi di autoconsumo in diversi quartieri ». I soldi del premio – 250 milioni di dollari –, invece, saranno impiegati per incrementare l’assistenza tecnica per i produttori agricoli e le attrezzature fornite, inclusi impianti di energie rinnovabili. Una parte sarà, infine, investita nel miglioramento dei canali di commercializzazione. «In questi anni, abbiamo imparato sul campo il valore della partecipazione e la pazienza, indispensabile per coinvolgere attori differenti e avviare processi di lungo periodo, in grado di non fermarsi alla prima difficoltà».

Il Covid è stata una prova decisiva. «La pandemia ha rischiato di paralizzarci. Non era più possibile fare le fiere, principale mezzo di promozione commerciale, e tutto si è spostato sul virtuale. Abbiamo dovuto accompagnare gli agricoltori perché riuscissero a trovare modi efficaci di vendita sul Web. È stata una grande sfida. Ma questo premio ci conferma che siamo sulla strada giusta». Il progetto di Rosario, nel frattempo, fa scuola. In Argentina, altri municipi hanno replicato gli orti urbani. E il modello fa gola anche all’estero. «Ci piacerebbe condividere la nostra esperienza con altri Paesi. Generare spazi verdi, inclusione e impiego – quanto Rosario sta facendo – sono la road map per lo sviluppo locale del presente e del futuro».

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