
Lo stabilimento Volkswagen di Wolfsburg - Ansa
È dunque qui tra le brume della Bassa Sassonia, qui dove oltre 80 anni fa i nazisti decisero dovesse nascere una città per la produzione dell’“auto del popolo”, che si gioca una sfida decisiva per il futuro dell’industria tedesca e di un intero comparto, quello europeo dell’automotive, che fatica a ritrovare il suo posto nello scenario economico globale. Wolfsburg, 120mila abitanti gran parte dei quali impiegati dal gruppo Volkswagen, è il simbolo della Germania che arranca, dell’appannamento del sogno di un Paese che domenica andrà al voto tra un’economia stagnante, la crescita dell’estremismo di destra, lo sguardo addosso di un mondo, soprattutto di un’Europa, che prova a capire se l’ex locomotiva può davvero ripartire. A poco più di un’ora di strada da Berlino, Wolfsburg non ha molta altra scelta: sperare di passare la nottata – pur non avendo tutte le carte in mano di una partita che si gioca in gran parte altrove – o trasformarsi in una nuova Flint, la città del Michigan cresciuta attorno alla General Motors e diventata poi simbolo del declino del Midwest Usa. Terza via non c’è, tanto intimamente è legata la città a quell’emblema Volkswagen che domina le gelide acque del fiume Aller. «Volkswagen e la città hanno sempre lavorato insieme per superare le sfide: alla fine è stata la gente di Wolfsburg a trasformare Volkswagen in un’azienda globale – sottolinea ad Avvenire il sindaco Dennis Weilmann, eletto nel 2021 tra le fila della Cdu, padre e due nonni ex dipendenti Vw –. Volkswagen è la spina dorsale economico-industriale della regione: garantisce innovazione, posti di lavoro e investimenti nelle infrastrutture, puntando molto sull’elettromobilità, sulle tecnologie digitali e sulla guida autonoma». «Wolfsburg rimane un nodo centrale di innovazione in cui questi sviluppi vengono portati avanti e che noi sosteniamo come città – assicura il primo cittadino –. L'obiettivo deve essere anche quello di utilizzare questi investimenti per rendere lo stabilimento principale uno dei più moderni d'Europa». L’industria tedesca dell’auto vale 564 miliardi di euro, ma la sfida dell’elettrico, gli alti costi del lavoro, le minacce dei dazi di Donald Trump e la concorrenza anche in Cina dei marchi cinesi – che sta sottraendo quote rilevanti in uno dei mercati finora più lucrativi per le Case tedesche – sono tutti rischi esistenziali per il comparto. Il tasso di occupazione nel settore ha avuto in Germania il suo picco nel 2018, per calare di 6,5 punti percentuali nel 2023 a 780mila unità. Cedono il passo Mercedes e Bmw, mentre anche Porsche ha visto vendite in calo di un terzo in Cina. In Germania soffre, di riflesso, tutto l’indotto. Tanto che Continental ha deciso di uscire dal mercato dei ricambi per auto e di focalizzarsi sugli pneumatici, mentre Bosch ha annunciato un piano di ristrutturazione che prevede il taglio di fino a 5.550 posti di lavoro: la Germania sarà il Paese più colpito, con oltre 3.800 posti di lavoro a rischio. Nell’ultimo caldissimo autunno, Volkswagen ha paventato la chiusura di tre dei suoi impianti produttivi, cosa mai successa in 87 anni di storia. Ne è nato uno scontro con i sindacati che ha visto tremare la città di Wolfsburg dalle fondamenta, mentre a Berlino i partiti di governo rabbrividivano all’idea di una campagna elettorale con i picchetti davanti alle fabbriche e spingevano per un’intesa. L’accordo tra azienda e lavoratori è arrivato poco prima di Natale, solo dopo scioperi e mobilitazioni e un braccio di ferro che ha visto da un lato Vw e dall’altro l’Ig Metall, il sindacato più potente d’Europa, con 2,2 milioni di iscritti e oltre il 90% di adesioni tra gli stessi dipendenti Vw. Secondo l’intesa, nessun sito verrà chiuso e non ci saranno licenziamenti immediati. Entro il 2030, però, Vw ridurrà la sua forza lavoro di oltre 35mila persone (tra prepensionamenti e uscite incentivate) e riorganizzerà le sue fabbriche con un taglio della produzione annuale in Germania di 734mila vetture dalle 900mila dell’anno scorso: qui a Wolfsburg le linee produttive saranno dimezzate. I risparmi sui costi saranno di oltre 15 miliardi di euro all’anno nel medio termine, garantiti anche dalla rinuncia dei lavoratori a qualsiasi aumento retributivo fino al 2031. « Le misure concordate, come ad esempio la perdita dei posti di lavoro, sono dolorose – non si nasconde il sindaco Weilmann –. Wolfsburg rimarrà comunque il cuore di Vw anche in futuro. La città è inserita in una forte rete di fornitori, studi di ingegneria e istituti di ricerca, che la rende un hub della catena del valore automobilistica. La vicinanza a istituti di ricerca e università promuove il trasferimento di conoscenze, in particolare nel campo dell’economia circolare. La ripresa economica è il tema centrale delle elezioni del Bundestag: il risultato elettorale sarà di grande importanza anche per l’intera industria automobilistica e per Vw in particolare». Nel 2024 le vendite globali di Vw sono scese a 4,8 milioni di unità, una flessione a cui ha contribuito soprattutto la frenata in Cina, primo mercato del marchio: qui le vendite sono diminuite dell'8,3% a 2,19 milioni di unità, per la crescente competizione di brand locali come Byd. Per i 300mila lavoratori tedeschi del gruppo Vw, un quinto dei quali lavora qui a Wolfsburg, il futuro resta un’incognita. All’Altdeutsche Bierstube, il più vecchio bar della città, la frustrazione tra i lavoratori emerge da ogni discorso sulle sfide del settore, una frustrazione che ha fatto negli ultimi tempi da carburante per la crescita dell’Afd, il partito di estrema destra che ha bollato la transizione verso l’elettrico come «una favola». «Se ci fermiamo noi si fermano l’intera Bassa Sassonia e la Germania: il Paese rischia di non riprendersi per un periodo lungo – spiegano alcuni dipendenti Vw –. La competitività della nostra produzione automobilistica si basava molto sulla disponibilità di energia a basso costo garantita dal gas russo, con il basso prezzo dell’energia che bilanciava il prezzo maggiore per la manodopera. Poi questo equilibrio si è rotto». A fianco al quartier generale di Vw, al parco a tema di 25 ettari denominato Autostadt, l’identità tra città e impresa si fa totale. Ognuno dei padiglioni è dedicato a uno dei marchi del gruppo e al “Kundencenter”, il centro per i clienti, chi ha acquistato un’auto può venire a ritirarla, appena “sfornata” dalla fabbrica appena vicino. Ci vengono oltre 2 milioni di visitatori l’anno, ma sono sempre più i turisti e sempre meno gli acquirenti di vetture del gruppo. Non troppo distante, davanti alla stazione cittadina, una piccola statua in bronzo raffigura un emigrante italiano, omaggio alla più importante comunità di “lavoratori ospiti” che a lungo hanno fatto delle fabbriche Volkswagen e di queste terre abitate cent’anni fa solo dai lupi un modello di sviluppo e innovazione. Torna a soffiare un vento gelido, a Wolfsburg, mentre d’un tratto tutto intorno si fa buio.