giovedì 17 settembre 2020
Le piante marciscono e non si capisce il perché. A rischio il 50-60% della produzione nazionale (l'Italia è tra i maggiori produttori di kiwi al mondo). Verso la creazione di un tavolo tecnico
Una piantagione di kiwi

Una piantagione di kiwi - Pixabay

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Infida e subdola, cattiva e devastante, una malattia dalle origini ancora incerte sta mettendo in crisi le coltivazioni di actinidia in Italia. Non è cosa di poco conto, visto che il valore della produzione di kiwi può arrivare a centinaia di milioni di euro all’anno, senza dire delle migliaia di posti di lavoro che può determinare e del primato dell’Italia conteso solo dalla Nuova Zelanda, patria di questo frutto.

Difficile e azzardato fare paragoni, ma quanto sta accadendo ricorda molto da vicino la vicenda degli olivi attaccati dalla Xylella. Certo, la malattia degli olivi ha origine certa – un batterio importato –, quella dei kiwi pare ancora tutta da scoprire, ma alla fine il risultato è pressoché lo stesso: le radici marciscono, la pianta avvizzisce, i frutti non crescono. Tutto questo ha un nome, "Morìa dei kiwi", ma poco altro si sa. Ad essere più colpite, per ora, sono le coltivazioni laziali, in particolare nella provincia di Latina, cioè il territorio che più di altri ha una vocazione per questo prodotto con oltre 10mila ettari coltivati. La malattia ha però già colpito altrove. Secondo Confagricoltura, ad oggi solo nel Veronese la Morìa avrebbe interessato più della metà dell’intera superficie dedicata (1.800 ettari su circa 2.500). In Friuli Venezia Giulia, dove la superficie coltivata è di poco superiore ai 500 ettari, la malattia interesserebbe circa il 10% degli impianti. Coltivazioni colpite anche in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Calabria.

Tutto, d’altra parte, non pare essere una novità – nel Lazio i primi casi si sono riscontrati tre anni fa –, ma ora sembra esserci un inasprimento del fenomeno. Certo, i danni sono ancora limitati se si guarda ai circa 26mila ettari coltivati in Italia e ai 5 milioni di quintali prodotti, ma 400 milioni di export potrebbero essere a rischio (a fine agosto, tra l’altro, un accordo ha agevolato le vendite in Cina).. «Il problema esiste e non va sottovalutato: fino ad oggi le superfici colpite sono limitate, ma la malattia si estende rapidamente », avverte quindi Coldiretti.

Ma cosa sta accadendo? I tecnici dei coltivatori diretti non si sbilanciano. Si parla di una sindrome da "stanchezza" del terreno (cioè di un complesso di fattori che provoca una diminuzione di fertilità con una maggiore incidenza di malattie), ma l’eccesso di acqua potrebbe essere la causa principale, magari unita a malattie specifiche come alcune batteriosi. «Il problema, una volta estirpate le piante secche, sugli stessi terreni persiste. Così rischiamo che il 50-60% delle coltivazioni venga tutto distrutto», ha fatto notare la Cia-Agricoltori Italiani. Occorre ancora indagare.

L’allarme dalla periferia è però arrivato a Roma. Il ministero delle Politiche agricole ha coinvolto le Regioni interessate ma anche con il Crea (Centro di ricerca per l’olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura di Roma), l’Istituto Superiore di Sanità e Apofruit che raccoglie i produttori. «Si tratta – dice la ministra Teresa Bellanova –, di una patologia relativamente nuova, molto complessa e di difficile interpretazione. È necessario avere indirizzi certi per mettere in campo strategie e risorse». Di tutto si discuterà lunedì prossimo nel corso di un incontro del Comitato Fitosanitario nazionale che, probabilmente, costituirà uno specifico gruppo di lavoro tecnico-scientifico. Della questione si interesserà anche la Commissione agricoltura del Comitato Stato-Regioni. Cosa fare è comunque ancora tutto da decidere. E, senza allarmismi inutili, qualcosa bisognerà fare visto che l’Italia ha superato la Nuova Zelanda in quanto a produzione ed è ai primi posti per l’export.

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