venerdì 9 giugno 2017
Piero, figlio di Enzo: «Papà è stato e resta un mito, ma per me era solo l'uomo con cui confrontarmi. La Formula 1 aiuta, ma noi vendiamo auto anche quando perdiamo»
«Settant'anni di Ferrari, incredibile storia di passione»
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Seduto su una panchina del Parco del Valentino, tantissimi anni fa, subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Torino, un giovane alla ricerca di un lavoro, la Fiat che lo rifiuta, la disperazione di non sapere più che fare, il dover tornare a casa nel paesello in provincia di Modena senza una risposta, senza una certezza. E quello che sarebbe diventato il mito per milioni, anzi miliardi di appassionati, scoppia in lacrime, disperato. Un episodio che Enzo Ferrari ricordava ciclicamente quando doveva ripercorrere i momenti neri della sua storia. Vicino a quella panchina nei giorni scorsi, in occasione dell'apertura del Salone dell'Auto di Torino, c'è stata una celebrazione, un tributo dedicato ai 70 anni della Ferrari e a Enzo Ferrari con tante delle sue macchine esposte nel Cortile del Castello del Valentino. E' stato un modo per chiudere il cerchio, dalle lacrime di un giovane disperato di allora al trionfo del marchio di oggi.

All’epoca, quando nacque la scuderia, Piero Ferrari era solo un bambino di due anni e suo padre, quell’uomo burbero, era semplicemente il padrone. Le officine sfornavano auto sportive e da corsa, gente che andava e veniva. Personaggi importati, politici, attori, cantanti, capi di stato e altro ancora. Maranello era solo un piccolo centro del modenese, dove un vecchio appassionato di motori aveva eletto la sua dimora, costruendo auto che la domenica dovevano andare più forte delle altre. Del mito Ferrari, all’epoca, non c’era traccia, ma forse una sensazione nell’aria doveva esserci, un sentore di un qualcosa di chi sta scrivendo una pagina di storia.

Dopo 70 anni, Piero Ferrari, figlio di Enzo, il fondatore della Rossa più famosa del mondo, cosa ricorda di quei momenti?
«Certo, se guardo a cosa era la Ferrari a quel tempo e cosa è diventata oggi, mi tremano i polsi. Mi chiedo come sia stato possibile costruire tutto questo passo dopo passo, diventare quella che è oggi la Ferrari. Vado negli Stati Uniti e celebrano il Cavallino Rampante. Vado negli Emirati e hanno una venerazione, si corre la domenica una gara e ci sono le bandiere che sventolano in tribuna. Per fortuna tutte le mattine che entro in azienda, non mi pongo il problema, non mi fermo a pensare a cosa stiamo facendo e dove stiamo andando. Per me è semplicemente un rifugio, entro dalla porta, faccio le mie cose, poi torno a casa. Se dovessi pensarci, e qualche volta mi è successo, mi gira la testa...».

Ha mai avuto, da bambino, la percezione che si stesse realizzando qualcosa di unico?
«No, affatto. C’era la percezione di fare bene per la gara seguente, di battere i rivali, di capire i perché di una sconfitta, ma era tutto un fare quotidiano, non so se mi spiego. Non è che lavorando da mattina a sera uno dice: sto facendo la storia».

Chi era Enzo Ferrari veramente, oltre che suo padre?
«Era l’uomo, colui con cui confrontarsi tutti i momenti. Per gli altri era il mito, ma solo per gli altri. Sono due prospettive diverse, due modi differenti di vivere le situazioni. Di sicuro posso dire che la Ferrari di oggi sarebbe piaciuta a mio padre, per lo spirito competitivo che ha, perchè la scuderia si pone sempre degli obbiettivi più alti, perchè non si arrende mai».

Jackie Stewart, tre volte campione del mondo di F.1 che non corse mai con la Ferrari dice che negli anni 50 e 60 le vetture GT più belle e intriganti non erano certo le Ferrari. C’erano le Maserati, le Alfa Romeo, le Bugatti. Ma la Ferrari vinceva, e chi va veloce lascia il segno...
«Rispondo con una constatazione semplice: se la domenica vinciamo un Gran Premio, il lunedì mattina non c’è la fila a comprare le nostre auto. Quindi se la Ferrari oggi è quella che è, lo deve alla Formula 1, ma è anche vero che per moltissimi anni non abbiamo vinto niente. Quindi conta soprattutto il valore delle nostre vetture, che sono apprezzate in tutto il mondo. Questo per rispondere a Stewart, un grandissimo campione che non ha mai corso per la Ferrari e che mio padre avrebbe voluto con sè».

Parlando di suo padre, avrebbe certo apprezzato sapere che nel mondo siete più popolari della Coca Cola o di Microsoft...
«E’ vero e la cosa mi stupisce, perché nel mondo di solito sono i marchi americani e anglosassoni ad imporsi, invece Ferrari è un marchio profondamente italiano, qualcosa che unisce fascino e tecnologia. Un’eccellenza, come le abbiamo in altri settori, penso alla moda tanto per dirne una, e si va oltre il solito stereotipo di pizza, spaghetti e roba simile. Davvero sono stupito, specie se penso al calore della gente quando mi incontra o quando vanno al Ferrari World ad Abu Dhabi o altrove dove c’è il nostro marchio a fare da calamita».

La Ferrari ha fatto una storica doppietta al GP di Montecarlo, la gara più blasonata del Mondiale, ma la testa ora è a questo fine settimana e al Gran Premio in Canada.
«Fa parte della nostra visione, d’altronde mio padre diceva sempre che la macchina più bella e più veloce sarà la prossima. E vale anche per le corse. Mi ha fatto immensamente piacere vincere nel Principato, non capitava da 16 anni e poi in quel modo, davvero incredibile. Ma ogni due settimane abbiamo un esame da superare e tempo per festeggiare ce ne è poco...».

Certo, come da tradizione, ma visto che si celebrano i 70 anni Ferrari, di sicuro lei una mezza idea su come festeggiarli degnamente, mi sa che l’ha in mente...
«Non mi faccia parlare e non mi faccia dire niente. Lo faccio per scaramanzia, ma d’altronde non ci vuole molto a capire come vorrei celebrare a fine anno questa stagione... Ci siamo capiti, vero?».

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