mercoledì 9 aprile 2025
La conquista dell'uguaglianza dei ruoli è sempre stata associata anche a una maggiore fecondità. Ma questo modello, come si vede nei Paesi nordici, è entrato in crisi. Una svolta culturale
Una famiglia Norvegese

Una famiglia Norvegese - MOSTOVYE

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I Paesi nordici sono da tempo un modello in fatto di politiche per la natalità. Lunghi congedi parentali, servizi di assistenza all’infanzia diffusi e accessibili, genitori agevolati nel conciliare i tempi della vita con quelli del lavoro. Misure importanti calate in un contesto caratterizzato da una sostanziale uguaglianza di genere, cioè parità di ruoli tra maschi e femmine, sia sul lavoro e nella vita pubblica che nelle faccende domestiche. Forse non un mondo perfetto, ma un esempio, soprattutto per i Paesi del Sud Europa, dove il calo della fecondità degli ultimi decenni è stato attribuito anche alla fatica nell’adeguare alle esigenze della modernità tanto le politiche familiari quanto il modello sociale.

Non si deve essere ideologici: la rigida divisione di ruoli tra maschi e femmine, tipica dei Paesi dove la cultura patriarcale ha avuto un radicamento più forte e duraturo, a un certo punto, con l’avanzare dello sviluppo, che tra le altre cose ha portato una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, ha incominciato a rappresentare un freno nella realizzazione dei progetti familiari. Di fronte a questa criticità, il ventaglio delle soluzioni possibili ha sempre suggerito una strada possibile: seguire l’esempio dei Paesi nordici.

Oggi c’è un problema: anche lassù, in fatto di nascite, le cose non vanno più tanto bene, e se il “modello” non è entrato del tutto in crisi, alcune questioni sono oggetto di valutazione. Tra queste, c’è anche la parità di genere. Non perché l’uguaglianza dei ruoli abbia meno valore, anzi, ma perché i cambiamenti culturali in atto ne stanno depotenziando il contributo in relazione ai progetti genitoriali.

Il numero medio di figli per donna in Norvegia e Danimarca è oggi attorno a 1,4, in Finlandia è di 1,25, mentre solo quindici anni fa in tutti e tre i Paesi il tasso era poco sotto quota 2, vicino al livello che mantiene la popolazione stabile. Anche a Nord la tendenza delle nascite preoccupa: prova ne è che fine marzo il Gruppo di lavoro sulla politica demografica voluto dal governo finlandese ha presentato un grande “Piano di misure per aumentare il tasso di natalità e sostenere le persone ad avere figli”.

Nessuno sa bene cosa stia accadendo, ma una ricerca appena diffusa dalla Population and Development Review (Begall e Hyekel, 2025, Examining the Gender equality-fertility paradox in three nordic countries) offre una prospettiva interessante indagando il «paradossale declino accelerato della fecondità nei paesi caratterizzati dalla più alta parità di genere al mondo», tendenza che di fatto contraddice tutte le teorie esistenti sull’argomento. (Il titolo richiama un altro ben noto e discusso “paradosso nordico”, quello riferito all’elevato numero di femminicidi che si registra anche nei paesi con alta parità di genere).

Lo studio in questione ha notato che in Finlandia, Norvegia e Danimarca le intenzioni di fecondità cambiano molto in base all’atteggiamento delle persone verso l’uguaglianza di genere, ma non come si potrebbe pensare: chi crede nella parità dei ruoli oggi ha meno intenzione di avere figli (probabilità al 26%), mentre chi sostiene la netta distinzione dei compiti, cioè vede gli uomini impegnati nella vita pubblica e le donne solo in quella familiare, ha molta più voglia di diventare genitore (35%). L’apporto delle migrazioni può essere determinante, ma siccome la quota di popolazione che mette sullo stesso piano maschi e femmine è più numerosa, ecco spiegato in quale ambito stia maturando il calo delle nascite anche in Nord Europa.

Attenzione, questo non significa che la parità di genere abbia ora meno valore. Tutt’altro, l’uguaglianza dei ruoli è una indiscutibile conquista e d’altra parte l’equa divisione dei compiti domestici continua a impattare positivamente sulle intenzioni di fecondità. Il senso va trovato in un altro tipo di spiegazione, che rimanda all’evoluzione culturale in atto: di fatto le persone che condividono i valori tipici delle moderne società contemporanee, tra i quali rientra una visione egualitaria dei ruoli di genere, guardano sempre di più alla formazione di una famiglia come a uno degli ormai molteplici obiettivi della vita. Che poi è esattamente quanto ipotizza la teoria della Seconda transizione demografica, dove l’autorealizzazione e l’individualismo quali principi guida dello sviluppo arrivano a definire un quadro di bassa fecondità.

È questo, in fin dei conti, il contesto con il quale ci stiamo confrontando parlando di nascite, misure per la famiglia, aspirazioni dei giovani. Una trasformazione che, seppur con modalità diverse, sta interessando vaste aree del mondo, e che rappresenta la grande sfida di questo tempo.

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