Le badanti superano le colf

Il calo più significativo si è registrato tra gli uomini stranieri (-9,1%), mentre gli italiani sono in lieve aumento (+0,6%). Necessario il welfare di comunità
September 4, 2025
Le badanti superano le colf
Archivio | Cresce il numero delle bandanti
Nel 2024 il sorpasso è servito: le badanti superano le colf. Ma dietro i numeri si nasconde una crisi silenziosa tra calo degli occupati, precarietà e boom del lavoro informale. I dati dell’Osservatorio Inps sul lavoro domestico confermano la diminuzione dei lavoratori domestici, avviata nel 2021. Questa dinamica dipende principalmente dal progressivo assestamento a seguito dell’incremento (formale) legato alla pandemia di Covid-19. La procedura di emersione, in particolare, aveva inevitabilmente determinato un effetto attrattivo anche per lavoratori occupati in altri settori, sovradimensionando il lavoro domestico negli anni immediatamente successivi alla regolarizzazione.

Se complessivamente nel 2024 i lavoratori domestici sono diminuiti del 2,7% rispetto all’anno precedente, vi sono significative differenze per tipologia di rapporto. La riduzione del divario era avviata già da molti anni: nel 2015 le badanti rappresentavano il 42,7% del totale, per arrivare al 49,6% nel 2023. Nel 2024, quindi, le badanti rappresentano il 50,5% dei lavoratori domestici censiti dall’Inps. Nel 2024 il gruppo più numeroso è quello di badanti stranieri/e, con poco meno di 300mila unità (36,5% del totale). La componente colf straniero/a è quella diminuita maggiormente nell’ultimo triennio (-24,5%), dopo aver registrato il maggiore aumento nel periodo Covid (+17,0%).

Analizzando la tendenza per genere e cittadinanza, il calo più significativo si è registrato tra gli stranieri (-9,1%), mentre gli italiani sono in lieve aumento (+0,6%). Gli stranieri erano, peraltro, il gruppo a essere cresciuto maggiormente nel 2020 e nel 2021, proprio in virtù della procedura di emersione. Le donne straniere, nonostante una modesta tendenza di calo dal 2021, rimangono dominanti nel settore domestico, rappresentando il 60% del totale. Il secondo gruppo più numeroso è quello delle donne italiane, che rappresentano il 29% del totale.

Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, l'Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, «i dati Inps offrono una fotografia fondamentale del lavoro domestico in Italia. Oltre 800mila lavoratrici e lavoratori assunti dalle famiglie con l’utilizzo del Ccnl, a cui vanno aggiunti i lavoratori informali e quelli gestiti da Agenzie per il lavoro o altre società. La dinamica post-Covid evidenzia come il bisogno di cura rimanga alto presso le famiglie, anche considerando l’invecchiamento demografico. Tuttavia, è chiaro che, in assenza di incentivi o strumenti fiscali, il livello di informalità rimane alto. Occorrono quindi strumenti a sostegno delle famiglie, per consentire un’ampia emersione del lavoro domestico».
Il governo apre ai fuori quota
Domina, inoltre, esprime soddisfazione per il decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 4 settembre, che stabilizza il canale fuori quota per l’ingresso dei lavoratori stranieri nel settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria. Per la prima volta, il governo ha riconosciuto che la domanda di cura delle famiglie italiane non può essere ingabbiata in tetti numerici prefissati. È una decisione di buon senso, che dà respiro a un settore da anni compresso da limiti burocratici, e che restituisce dignità a un comparto che sostiene quotidianamente milioni di famiglie.
Il Rapporto Domina 2025 fotografa con chiarezza la dimensione del lavoro domestico: 817mila lavoratori regolari, 902mila famiglie datrici di lavoro, e oltre 3,3 milioni di persone coinvolte se si considera anche il lavoro irregolare. Un settore a prevalenza femminile (88,9%) e straniera (68,6%), con comunità provenienti principalmente da Romania, Ucraina, Filippine e Perù. Un settore che vale quasi un punto di Pil nazionale (17,1 miliardi di euro) e che permette allo Stato un risparmio di circa sei miliardi di euro all’anno, evitando ricoveri in struttura grazie all’assistenza domiciliare. «Questi numeri dimostrano – sottolinea Domina – che non parliamo di un settore residuale, ma di una colonna portante del welfare familiare italiano. Colf e badanti garantiscono la cura dei nostri anziani e il sostegno quotidiano alle famiglie, spesso in silenzio, ma con un impatto enorme sulla società e sull’economia».
Si pongono stabilmente al di fuori del meccanismo delle quote l’ingresso e il soggiorno di lavoratori da impiegare, nel settore dell’assistenza familiare o sociosanitaria, per l’assistenza di persone con disabilità o grandi anziane. «Capire le esigenze delle famiglie è fondamentale – commenta Gasparrini – ma è altrettanto importante garantire libertà e dignità a chi lavora. Non possiamo correre il rischio che una norma pensata per regolarizzare finisca, paradossalmente, per indebolire chi dovrebbe tutelare. Il canale fuori quota rappresenta indubbiamente un passo avanti, ma non basta. Il sistema dei decreti Flussi, per come è strutturato oggi, continua a mostrarsi inadeguato per il lavoro domestico: rigido, complesso, lontano dalla realtà quotidiana delle famiglie italiane. Le esigenze di assistenza, specie per anziani e persone fragili, richiedono risposte rapide e strumenti flessibili, non procedure che rischiano di rallentare e complicare tutto».
Il welfare di comunità
L’Italia è uno dei Paesi più longevi a livello europeo con una speranza di vita media di 83,4 anni, un indice di vecchiaia, risultato del rapporto tra persone over 65 e under 14, che nel 2023 ammontava a circa 193,1 anziani ogni 100 giovani. Particolarmente elevato risulta anche l’indice di dipendenza, ovvero l’incidenza della popolazione non attiva su quella in età lavorativa, che, secondo gli ultimi dati Istat arriva al 57,4%, ormai superiore a quel 50% che segna il limite oltre il quale si registra una situazione di squilibrio generazionale. La domanda di assistenza per le persone anziane e non autosufficienti è quindi in continuo aumento in Italia e i caregiver familiari sono oggi oltre sette milioni, più della metà dei quali (4,5 milioni) alle prese con la fatica di conciliare impegni di cura, lavoro e vita personale.

Di fronte a questo scenario, cosa possono fare le aziende per supportare percorsi di conciliazione lavoro-cura, anche come leva per trattenere risorse preziose per competenze ed esperienze? Jointly, B Corp italiana che accompagna le aziende nel disegnare soluzioni innovative per il benessere organizzativo, propone un’alleanza per costruire un welfare di comunità sempre più inclusivo ed efficace nell’offrire un aiuto concreto a chi si trova a gestire carichi di cura nei confronti di familiari anziani e/o con disabilità.

Un primo esempio concreto del welfare di comunità è stato Sollievo a domicilio, l’iniziativa attivata in collaborazione tra l’Unione dei Comuni delle Terre d’Argine, il Distretto sanitario di Carpi, la cooperativa sociale “Anziani e non solo”, Jointly e l’Agenzia per il lavoro Umana che punta a sostenere, attraverso il coinvolgimento di aziende e operatori specializzati, i familiari di persone con disabilità e non autosufficienti per alleviarne il carico di cura. Se infatti anche solo il 30% di caregiver che lavorano in azienda (stima 1,5 milioni) potesse investire le risorse previste dal tetto massimo sui flexible benefit (ovvero 1.000 euro) in servizi assistenziali di qualità si potrebbe ottenere e un risparmio del 45% sulla spesa assistenziale a domicilio che oggi sostiene il sistema pubblico e che nel 2023 ha raggiunto i 3,313 miliardi di euro, secondo il Rapporto della Ragioneria dello Stato.

L’identikit del lavoratore caregiver in Italia
Secondo i dati Istat, le persone di 15 anni e più che prestano assistenza almeno una volta a settimana sono oltre sette milioni e nell’87,8% dei casi lo fanno nei confronti di un familiare. Un carico di cura che coinvolge quindi molte persone, e in maniera impegnativa, come conferma anche la ricerca Care4caregivers condotta da Bcg in collaborazione con Jointly ha analizzato un campione di 12mila dipendenti di aziende di diversi settori, dalle telecomunicazioni ai trasporti, dall’alimentare all’energia e al credito. Secondo i risultati dello studio infatti, la maggior parte dei caregiver si occupa di genitori o parenti anziani e in un caso su tre (31%) lo fa per più di 14 ore settimanali. L’impegno prevalente non è di tipo socio-sanitario, ma soprattutto di compagnia e supporto nella gestione domestica, negli spostamenti, nelle attività. Una situazione che nella percezione di otto intervistati su dieci è destinata a peggiorare. Un carico di cura che risulta di media particolarmente gravoso non solo dal punto di vista del tempo dedicato, ma anche delle risorse economiche necessarie, considerato che il 17% dei caregiver dichiara di spendere per la cura oltre 10mila euro all’anno, costi sostenuti personalmente in un caso su due.

Lo studio ha indagato anche le difficoltà percepite come principali da parte dei caregiver, che sono soprattutto il carico mentale e la mancanza di tempo, seguite dalla fatica fisica e dalle difficoltà finanziarie. Soluzioni di conciliazione e di supporto psicologico sembrano quindi essere gli strumenti più importanti per poter offrire un sostegno concreto ai caregiver familiari che, in più di un caso su due (il 56%) indicano come molto rilevante la necessità di poter staccare dal lavoro di cura, mentre più di quattro su dieci ritengono necessario un supporto psicologico. Dai dati emerge inoltre che la copertura del fabbisogno finanziario e di servizi da parte del pubblico non è sufficiente, dal momento che i sussidi previsti coprono mediamente non più del 5% della spesa sostenuta e solo un caregiver su quattro (il 25%) ricorre all’assistenza pubblica, mentre il livello di costi di strutture e servizi privati li rende inaccessibili a sei caregiver su dieci.
Esiguo risulta essere ancora il ricorso al welfare aziendale, la cui offerta di servizi viene sfruttata solo dal 3% degli intervistati. Tra le motivazioni di questo basso livello di utilizzo ci sono soprattutto la carenza di comunicazione rispetto ai servizi offerti da parte delle aziende e la non aderenza alle reali necessità dei lavoratori caregiver. Per questo diventa fondamentale mettersi in ascolto dei propri dipendenti per capire le reali esigenze e poter mettere a disposizione soluzioni efficaci in maniera efficiente. Tempo e flessibilità sono sicuramente i bisogni avvertiti come preminenti da chi si trova a gestire impegni lavorativi e carichi di cura con un 28% di loro che si trova costretto a chiedere un periodo di aspettativa e un 11% che sceglie di lavorare part-time.

© RIPRODUZIONE RISERVATA