mercoledì 13 dicembre 2023
Un nuovo «patto sociale» e otto modifiche all'Adi, che ha sostituito il Reddito di cittadinanza. Ecco i suggerimenti dell'Alleanza contro la povertà, a dieci anni dalla sua costituzione
Una famiglia italiana in povertà

Una famiglia italiana in povertà - Sintesi

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La proposta di un nuovo Patto sociale per il contrasto alla povertà e di otto modifiche concrete per migliorare l’Assegno di inclusione, il nuovo strumento introdotto dal governo Meloni dopo aver cancellato il Reddito di cittadinanza. L’Alleanza contro la povertà – Acp, il cartello di 35 associazioni sociali, nato a partire da Caritas e Acli – compie 10 anni e rilancia così il suo impegno a favore delle persone in condizione di bisogno. In questo decennio, infatti, l’Acp ha svolto un ruolo di rappresentanza delle istanze degli ultimi, declinato non solo in chiave culturale ma anche di elaborazione normativa e di stimolo alla politica, che intende confermare e proiettare nel nuovo scenario sociale e politico.

Il difetto originario e fondamentale del nuovo Assegno di inclusione varato con il decreto del Primo maggio scorso è l’abbandono del principio di “universalità selettiva” che aveva caratterizzato il Rei prima e il Reddito di cittadinanza poi. Tornando, dopo decenni, a interventi anti-povertà solo di carattere “categoriale” e con un’arbitraria suddivisione dei bisognosi in “occupabili” e “non occupabili”, basata sui carichi familiari. Con la conseguenza pratica di escludere la quasi totalità dei singoli (tra 18 e 60 anni) e di ridurre in maniera significativa la platea generale dei beneficiari, rispetto a quanto previsto dal Rdc. Addirittura dimezzandola secondo le stime dell’Acp. Proprio in una fase in cui la povertà va crescendo – colpisce il 9,7% della popolazione, 5,6 milioni di persone - e si diffonde in diverse fasce sociali, comprese le persone che lavorano.

Per tamponare queste falle e allargare il più possibile l’ombrello della protezione sociale, quindi, le otto proposte di Alleanza contro la povertà prevedono: 1) la reintroduzione della soglia reddituale di accesso differenziata per coloro che hanno una casa in affitto a 9.360 euro; 2) di allentare ulteriormente il vincolo di residenza in Italia per gli stranieri da 5 a 2 anni (era 10 anni nel Rdc); 3) rivedere la scala di equivalenza, reintroducendo un “peso” dello 0,25 per i maggiorenni senza carichi di famiglia oggi esclusi dal calcolo della misura; 4) l’indicizzazione della soglia reddituale e del sostegno all’affitto per evitare che l’inflazione annulli i sostegni; 5) ridefinire l’”offerta congrua” di lavoro perché sia vincolata all’effettivo grado di occupabilità del soggetto e, come si prevede per la Naspi, non riguardi, senza vincoli o eccezioni, l’intera Italia; 6) migliorare ulteriormente la cumulabilità tra Adi e redditi da lavoro (i cosiddetti in-work benefit per evitare la trappola della povertà); 7) dotare i Comuni di maggiori risorse umane e finanziarie per i servizi di “presa in carico” e, infine, 8) garantire la volontarietà della partecipazione ai Puc, i progetti utili alla collettività che devono essere intesi come percorsi di inclusione, crescita e valorizzazione delle competenze, non come interventi compensatori o peggio punitivi per chi riceve un sussidio pubblico.

Nell’analisi dell’Alleanza contro la povertà sull’Adi manca la valorizzazione degli effetti dell’Assegno unico per le famiglie con figli, ma – al di là dei possibili aggiustamenti tecnici – rimane il nodo fondamentale della natura non più universalistica degli strumenti di contrasto alla povertà, che hanno riportato l’Italia ad essere l’unico Paese in Europa a non avere nel proprio ordinamento una legge in grado di offrire tutele e sussidi a tutte le persone in condizione di bisogno. Un tema centrale, questo, nel convegno per il decennale organizzato ieri a Roma. Sottolineato anzitutto dal presidente delle Acli Emiliano Manfredonia e da quello della Caritas, l’arcivescovo di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, che hanno richiamato l’attenzione sul diffondersi «dell’idea di povertà come colpa degli stessi poveri». Concetto ripreso da Cristiano Gori - docente all’Università di Trento e primo “federatore” delle associazioni - che ha parlato della necessità di una «nuova narrazione della povertà», oltre che di un aggiornamento in chiave 2.0 della proposta del Reis da riproporre nel confronto con le forze politiche». Oggi, infatti, a fronte di una politica poco propensa al confronto con i corpi sociali, che si ritiene autosufficiente, occorre a maggior ragione rafforzare il ruolo di rappresentanza, elaborazione e proposta di un soggetto sussidiario come l’Alleanza contro la povertà. Per «cercare di costruire un nuovo Patto sociale sulle povertà, al di là delle ideologie, che sia capace di travalicare le legislature, evitando interventi e riforme che si succedono ogni due anni», come ha sostenuto con forza il portavoce dell’Alleanza contro la povertà, Antonio Russo.

Per il governo era presente al convegno la sottosegretaria al Mef Sandra Savino (Fi) che si è detta consapevole dell’emergenza povertà e ha invitato l’Acp a un incontro al ministero. Un segnale di attenzione che Russo ha raccolto ribadendo gli obiettivi per il futuro: dal recupero dell’universalità dei sostegni all’inclusione nelle tutele degli stranieri residenti oggi esclusi; dall’istituzione di un osservatorio sulla povertà alla de-ideologizzazione della questione povertà; dal recepimento in legge di bilancio degli emendamenti proposti a un maggiore legame con le politiche europee. Una strada certamente lunga e difficile, ma sulla quale non si può non incamminarsi se davvero si vuole tutelare i poveri.

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