domenica 6 luglio 2025
Il vertice al via con alcune assenza eccellenti. Il Brasile punta ad arrivare a un accordo con l'Europa sugii scambi approfittando dei vuoti lasciati da Washington
Luiz Inacio Lula da Silva, secondo da sinistra, con alcuni dei partecipanti al pre-meeting dei Brics a Rio de Janeiro

Luiz Inacio Lula da Silva, secondo da sinistra, con alcuni dei partecipanti al pre-meeting dei Brics a Rio de Janeiro - ANSA

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Impopolare in casa, incoerente in politica estera. È con questo “endorsement” dell’Economist che il presidente brasiliano Lula ospita domenica e lunedì prossimi il vertice Brics a Rio de Janeiro, proprio nella stessa città dove meno di un anno fa ha accolto i leader del G20.

I Brics sono oggi qualcosa in più dei cinque Paesi emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che una ventina d’anni fa davano vita a quel buffo acronimo che non faceva paura a nessuno: sono 11 potenze più una dozzina di Paesi partner – come una squadra di calcio con annessa «panchina» – che rappresentano metà della popolazione e il 40% del Pil del pianeta. Tra gli ultimi «colpi» di mercato c’è l’Iran, e non è sfuggito all’Economist che «contrariamente a tutte le democrazie occidentali, di fronte al bombardamento dei siti nucleari iraniani il governo brasiliano ha affermato di condannare fermamente l'attacco americano». Ecco perché il settimanale sentenzia che «il Brasile organizza un Brics dominato dall’autoritarismo», e infatti proprio Teheran ha creato la prima grana, rifiutandosi di firmare il documento condiviso da tutti sulla soluzione «due popoli due Stati» per il conflitto israelo-palestinese.

Sull’incoerenza di Lula è difficile dare torto all’Economist, dato che solo poche settimane fa il leader socialista – la cui popolarità è ai minimi storici - veniva accolto in pompa magna da Emmanuel Macron a Parigi, dove i due hanno scattato entusiastici selfie con dietro la Tour Eiffel, illuminata per l’occasione con i colori della bandiera brasiliana. L’asse franco-brasiliano non è mai stato così intenso: ne è prova l’annuncio dell’inaugurazione di una succursale del Centre Pompidou a Foz do Iguaçu, mentre a novembre sarà sempre il Brasile ad ospitare la COP30 sull’Amazzonia, un appuntamento sul quale Macron vuole a tutti i costi mettere il cappello. Parigi prova a riportare Brasilia sulla retta via dell’asse euro-atlantico e Lula si lascia sedurre, anche perché dal 1° luglio la presidenza di turno semestrale del Mercosur, l’area di libero scambio del Sudamerica, è passata proprio al Paese lusofono, che è quello che più spinge per chiudere in fretta l’accordo commerciale con l’Unione europea. Tra i Brics il Brasile è il membro più de-industrializzato, si sta ormai affermando come Paese votato all’export di materie prime agroalimentari e minerarie, e proprio per questo insiste per rinforzare i canali con l’Europa, visto che ad oggi esporta per oltre un terzo solo verso l’Asia. La prima economia dell’America Latina spera dunque in Bruxelles per importare a prezzi più vantaggiosi prodotti come automobili e per conquistare nuovi clienti a cui vendere carne, zucchero, soia e caffè.

Ci sono però da superare le resistenze del mondo agricolo europeo, in particolare proprio di quello francese, che vede il pericolo di dumping e di minore controllo su origine e qualità dei prodotti. Nel frattempo, Lula riceve a Rio «gli altri», quelli che lui chiama romanticamente Global South ma tra i quali ci sono quattro potenze nucleari, vere o presunte (Iran, Russia, Cina e India), ed economie che entro il 2045 secondo Goldman Sachs saranno tra le prime quattro al mondo, come l’Indonesia. Il biglietto da visita dei Brics dice che i cinque Paesi fondatori più Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia, Indonesia e Iran si scambiano tra loro il 26% delle merci esportate in tutto il mondo e possiedono il 72% delle materie prime critiche. E poi ci sono i Paesi partner, per ora solo alleati: Turchia, Algeria, Bielorussia, Cuba, Malesia, Bolivia, Uzbekistan, Kazakistan, Tailandia, Nigeria, Uganda e da ultimo Vietnam. Il caso di Hanoi è emblematico: è una delle economie più in crescita al mondo (7% nel 2024) ma soprattutto è alleato fondamentale della Cina per dribblare i dazi Usa attraverso il transhipment, tanto che Washington è dovuta correre ai ripari concordando un’imposta sull’importazione delle merci vietnamite al 20%, che salirà però al 40% se la dogana sospetterà che provengano da altrove (Pechino).

A proposito di Usa, Lula ha invitato a Rio pure il presidente colombiano Gustavo Petro, in aperto scontro con Trump sulla questione dei migranti, il che fa pensare che un’altra annessione sia nell’aria: Bogotà ha una economia legata a doppio filo a quella statunitense ma sta già diversificando con la recente adesione al New Development Bank (NDB), noto come Banca dei Brics. Gli ex emergenti infatti hanno una loro banca multilaterale, che in 10 anni ha già finanziato un centinaio di progetti in giro per il mondo, per un valore di 33 miliardi di dollari. E nell’incontro dell’anno scorso a Kazan, in Russia, il presidente Putin ha pure lanciato la moneta comune, il Brics, con l’obiettivo di smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro e dalle sanzioni internazionali. A Rio però sono in agenda temi più «occidentali» come, ad esempio, la tassazione dei super ricchi, uno dei cavalli di battaglia del leader socialista, che è già stata approvata dai ministri delle Finanze. Poi si parlerà soprattutto di ambiente, povertà, Intelligenza artificiale e persino di parità di genere e diritti LGBT. Forse è per questo che hanno già dato forfait Xi Jinping, Al-Sisi ed Erdogan, mentre invece il presidente venezuelano Nicolas Maduro sarebbe andato volentieri ma non è invitato: da tempo si parla dell’adesione di Caracas, ma almeno su questo è stato proprio il Brasile a dire di «no».

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