domenica 14 maggio 2017
Pechino intende investire centinaia di miliardi in infrastrutture per scambiarsi merci con il resto del mondo. Il rischio è che il traffico sia in unico senso
Il saluto tra Paolo Gentiloni e Xi Jinping al One Bel One Road Forum di Pechino (Ansa)

Il saluto tra Paolo Gentiloni e Xi Jinping al One Bel One Road Forum di Pechino (Ansa)

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In uno scenografico resort sul lago Yanqi, a un centinaio di chilometri a nord di Pechino, Xi Jinping il 14 e il 15 maggio 2017 illustrerà davanti a ventotto capi di governo stranieri, rappresentanti delle istituzioni internazionali e un migliaio di imprenditori, manager ed economisti venuti da tutto il mondo qual è l’idea di globalizzazione che ha in mente la Cina. Soprattutto, il presidente cinese prometterà una montagna soldi, centinaia di miliardi di yuan e dollari da investire nelle economie (in molti casi piuttosto malmesse) dei paesi che vogliono partecipare alla ricostruzione in chiave moderna dell’antica via della Seta. L’appuntamento è il Belt and Road Forum, il primo vertice internazionale di alto livello sulla strategia One Belt One Road, progetto da 4mila miliardi di dollari per costruire infrastrutture e sviluppare alleanze commerciali lungo la strada che, passando dalla terra e dal mare, dalla Cina attraversa l’Asia, arriva in Europa e in Africa e, sul versante orientale, raggiunge l’America del Sud.

Gli investimenti nella via della Seta

Al Forum è prevista la firma di almeno una ventina di accordi internazionali, tra i quali quello che dà il via al “Sino-Italian Co-Investing Fund”, fondo da 100 milioni di euro da investire sulle piccole e medie imprese nato da un’allaenza tra il Tesoro, tramite la Cassa depositi e prestiti, e la China Development Bank, una delle tre grandi banche di Stato cinesi. Secondo una stima diffusa da Credit Suisse a pochi giorni dall’incontro gli investimenti che Pechino potrebbe sbloccare nei prossimi anni per il piano One Belt One Road possono arrivare a 500 miliardi di euro. Altre stime arrivano a precedere investimenti per 130 miliardi di dollari l’anno tra il 2018 e il 2022. Cifre enormi.



La conquista dei porti

Per quanto il progetto One Belt One Road sia partito con lentezza (“solo” 48 miliardi di dollari di investimenti nei primi tre anni e mezzo) alcuni grossi obiettivi strategici sono stati già centrati. Pechino ha messo le mani su sette porti europei — compresi quello di Vado Ligure e, soprattutto, quello del Pireo, uno dei principali centri per gli scambi marittimi del Mediterraneo — e dispone già di collegamenti ferroviari diretti che arrivano fino in Spagna e Regno Unito. C’è l’infrastruttura fisica ma anche quella finanziaria: l’Aiib, la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture lanciata nel 2014 vuole essere per Pechino quello che la Banca Mondiale è stata nei decenni della globalizzazione in salsa americana.

Del G7 c'è solo Gentiloni

Un’epoca, quella con gli Usa al centro, che il protezionismo (per ora molto minacciato e poco praticato) di Donald Trump contribuirà a chiudere, per lasciare spazio alla globalizzazione cinese, la cui alba simbolica è stata a gennaio l’incoronazione, a colpi di applausi della platea del World Economic Forum di Davos, di Xi come nuovo alfiere della globalizzazione.

Il presidente cinese sperava però che i suoi collaboratori gli organizzassero una platea all’altezza dell’evento di oggi. Invece c’è stato più di un intoppo: la britannica Theresa May è presa dalla campagna elettorale, il francese Emmanuel Macron è troppo fresco di nomina per imbarcarsi in un viaggio simile, la tedesca Angela Merkel ha declinato. Quella dell’italiano Paolo Gentiloni sarà l’unica presenza di un capo di governo di un paese del G7. Il nostro presidente del Consiglio si troverà in una compagnia che, a parte lo spagnolo Mariano Rajoy, è fatta di premier di “seconda fila”, come il greco Alexis Tsipras, la polacca Beata Szydlo o l’ungherese Viktor Orban, e personaggi oggettivamente problematici, come il turco Recep Tayyip Erdogan, il russo Vladimir Putin o il filippino Rodrigo Duterte.


I problemi della globalizzazione in salsa cinese

Non è stata la sfortuna a tenere lontano gli altri. Il problema è che la globalizzazione in versione cinese sembra piuttosto una situazione in cui Pechino fa del resto del mondo il suo grande cliente, sul quale scaricare la sua enorme capacità produttiva inutilizzata. Jörg Wuttke, presidente della Camera di commercio europea in Cina, ha ricordato sul Financial Times che si rischia che la nuova Via della seta sia una strada a senso unico: già oggi Pechino esporta in Europa il doppio di quanto importa e investe il quadruplo degli investimenti che riceve. Non è mancanza di volontà di invesitre da parte degli europei: è che il sistema statalizzato e illiberale dell’economia cinese impedisce di investire secondo le normali regole dell’economia. Non a caso sia l’Europa che gli Stati Uniti hanno scelto di non concedere a Pechino lo status di economia di mercato nell’ambito dei trattati dell’Organizzazione per il commercio mondiale. Xi ha promesso che il lavoro per costruire la nuova Via della seta non sarà un assolo cinese, ma un coro a più voci. Ma un conto sono le metafore, un altro la pratica.



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