
Consumi in ripresa nei bar e nei ristoranti, ma restano lontani i livelli pre-Covid - Imagoeconomica
Bar e ristoranti non hanno solo una funzione “economica” – fanno da traino a un settore nevralgico come il turismo e danno lavoro a 1,5 milioni di persone – ma hanno anche una funzione sociale, in quanto strumenti di coesione, inclusione sociale e integrazione. Sono luoghi dove si socializza, si dialoga e ci si confronta e sono fondamentali per l’aggregazione di giovani e anziani. Ma sono anche veri e propri presidi contro la desertificazione commerciale che negli ultimi anni ha colpito aree interne e quartieri periferici delle grandi città.
Lino Stoppani, presidente della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, l’associazione comparativa più rappresentativa del “fuori casa” italiano e che quest’anno taglia il traguardo degli 80 anni, è convinto che non si rifletta abbastanza su questa funzione pubblica dei locali. «La loro presenza non deve essere data per scontata. A volte ci si accorge della loro importanza quando non ci sono più, perché chiudono, o nel corso di eventi eccezionali come la pandemia » sottolinea Stoppani. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e la ripresa, lenta ma costante dei consumi fuori casa, mentre quelli domestici sono ancora a regime ridotto, è stata accompagnata da una profonda trasformazione della domanda e dell’offerta. Il rapporto Ristorazione, che il Fipe realizza ogni anno e che rappresenta una cartina di tornasole del settore, parla di un 2024 di moderata crescita dove ci sono più luci che ombre. I consumi hanno toccato quota 96 miliardi di euro, con un aumento dell’1,6% rispetto all’anno precedente ma ancora lontani (-6%) da quelli pre-pandemia. Un risultato che però va interpretato anche alla luce del rallentamento della crescita economica. Il valore aggiunto è aumentato dell’1,4% salendo a 59,3 miliardi. Ancora in calo il numero di imprese che sono 328mila (l’1,2% in meno) con una contrazione maggiore per i bar (3,3%) che spesso si “riconvertono” nell’ambito della ristorazione veloce. In crescita, nonostante le difficoltà strutturali a reperire personale gli occupati, con un 5% in più che sale al 6,7% quando si tratta di dipendenti. La crescita dell’occupazione proporzionalmente superiore a quella crescita del prodotto però ha inciso sulla produttività che è calata di mezzo punto percentuale e si mantiene al di sotto dei livelli di dieci anni fa.
«La carenza di personale è un fenomeno trasversale in Italia – commenta Stoppani – c’è il problema dell’attrattività in un settore dove sono richiesti sacrifici e impegno sul lavoro. In Italia c’è un problema politico perché si fa poco per le cosiddette politiche attive del lavoro, culturale perché è cambiato il “senso” del lavoro per i giovani che mettono al primo posto la qualità della loro vita. Tutti questi elementi fanno sì che sia considerato un lavoro di passaggio». Qualcosa però si muove e la riforma della scuola voluta dal ministro Valditara dovrebbe portare a un aumento delle competenze pratiche nella filiera tecnicoprofessionale. L’altra faccia della medaglia però sono le prospettive di crescita: per i giovani, che imparano non solo un mestiere ma anche a gestire le persone e il loro tempo, e per i più adulti perché molti imprenditori sono partiti e cresciuti dalle cucine o dal servizio ai tavoli. L’ascensore sociale, in questo settore, funziona ancora, a patto che ci sia voglia di fare e ambizione anche perché, spiega Stoppani, non servono grandi investimenti. Questo spiega anche la presenza di un 14% di imprese gestite da stranieri, percentuale che raddoppia quando si parla di lavoratori. Il vero problema è l’elevato tasso di mortalità, il 50% delle startup chiude entro cinque anni, ma anche un eccesso di offerta che da un lato ha portato ad abbassare i prezzi – cresciuti del 14,6% negli ultimi tre anni ma meno dell’inflazione secondo il rapporto FIPE – ma rischia di “impoverire” anche la qualità e le modalità di preparazione delle pietanze.
«La liberalizzazione avviata negli anni 2006-2010 ha inoltre portato una concentrazione di locali nelle zone della movida, visto che manca una programmazione qualitativa che ne regoli lo sviluppo, ma ha anche aperto il fianco ad infiltrazioni malavitose nel settore» aggiunge Stoppani. Rispetto all’era pre-Covid si diceva, molte cose sono cambiate. « La segmentazione dell’offerta innanzitutto. Solo per fare qualche esempio sono nati i wine bar, i locali alcool free o vegani, c’è stata poi la destrutturazione del pasto, oggi si ordina spesso un solo piatto. E ancora: l’aumento della ristorazione in catena, la voglia di mangiare all’aperto con il moltiplicarsi dei dehors e la rivoluzione digitale con prenotazioni tramite app e delivery che però hanno costi di commissioni elevatissime, circa il 30%, che impattano soprattutto sui piccoli» spiega il presidente. L’Italia rimane comunque un Paese unico quando si parla di sedersi a tavola o al tavolino del bar, con un modello di pubblici esercizi diffuso e qualificato. «Costituisce la vetrina del food italiano. La nostra cucina è il secondo motivo per cui gli stranieri arrivano in Italia e il primo per cui scelgono di ritornare» chiosa Stoppani. Difficile dargli torto.