martedì 5 marzo 2019
Presentata al Cnel la prima fase del progetto per l'innovazione delle libere professioni. Il presidente Stella: «Contrattazione collettiva, welfare e digitalizzazione motori dello sviluppo»
Dialogo sociale, modello italiano da esportare in Europa
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Peculiarità delle relazioni industriali; natura della conoscenza professionale; rafforzamento del sistema mutualistico parallelo, unicità del modello italiano. Sono i quattro pilastri del dialogo sociale nelle libere professioni in Italia, una buona pratica europea per cavalcare e diffondere gli effetti positivi della digitalizzazione negli studi professionali attraverso la contrattazione collettiva e il welfare contrattuale. Ma sono anche le colonne portanti del progetto Social dialogue for sustainability of european professional service firms, finanziato dalla Commissione europea e presentato oggi da Confprofessioni (Confederazione italiana libere professioni) al Parlamentino del Cnel a Roma.

«Il dialogo sociale ha un ruolo fondamentale per la sostenibilità delle libere professioni in Italia e in Europa - afferma il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella -. Da una parte, infatti, riduce i rischi di esubero in alcuni settori professionali; dall’altra può moltiplicare le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. E non è un caso che il seminario sia stato organizzato al Cnel, che rappresenta il luogo istituzionale ideale per rafforzare le relazioni industriali nel settore delle libere professioni, obiettivo che Confprofessioni, Filcams-Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs perseguono da decenni».

Davanti a una platea gremita di professionisti provenienti da tutta Italia, i primi risultati del progetto sul dialogo sociale sono stati presentati di Enrico Tezza, responsabile dei progetti europei di Confprofessioni, e da Alessia Palladino, mentre Andrea Granelli, presidente di Kanso, ha illustrato l’impatto delle tecnologie digitali nelle professioni. E sono proprio gli effetti della digitalizzazione al centro del dialogo tra le parti sociali, con i contributi di Danilo Lelli (Filcams Cgil), Dario Campeotto (Fisascat Cisl), Mauro Munari (Uiltucs) e Francesco Monticelli (Confprofessioni). Da qui emerge il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva e del welfare contrattuale per promuovere uno sviluppo sostenibile delle professioni, come hanno sottolineato i referenti regionali di Confprofessioni dell’area giuridica Francesco Mazzella; dell’area economica, Enrico Vannicola, e dell’area tecnica, Fabio Pistella.

Un progetto che riguarda i tanti liberi professionisti italiani e anche chi lavora nei loro studi professionali. Un fenomeno tutto italiano. Crescono al ritmo del 21%, coprono il 26% del mercato del lavoro indipendente e occupano circa 900mila dipendenti, anche se negli ultimi due anni il loro fatturato complessivo ha subito un leggero calo che si riflette in una lieve contrazione del loro contributo sul Pil nazionale. Anche nel 2017, infatti, l'Italia si conferma il Paese europeo con il maggior numero di liberi professionisti. Con oltre 1,4 milioni di unità nel nostro Paese si concentra, infatti, il 19% dei professionisti censiti nei 28 Paesi dell’Unione Europea. Il primato italiano in Europa è confermato anche dal rapporto tra numero di liberi professionisti e popolazione. Se infatti a livello europeo si contano mediamente 11 liberi professionisti ogni 1.000 abitanti, in Italia ci sono 17 liberi professionisti per mille abitanti.

«Negli ultimi dieci anni i liberi professionisti sono l’unica componente del mercato del lavoro che ha retto gli urti della crisi economica, in netta controtendenza rispetto agli altri segmenti occupazionali del mercato del lavoro indipendente - commenta Stella -. Una tendenza che si rispecchia anche in altri indicatori economici che mostrano incoraggianti segnali di ripresa. Il Rapporto 2018 sulle libere professioni segna infatti un aumento del numero degli iscritti agli ordini e alle casse professionali; i professionisti si attestano intorno a 1.400.000 unità e tra questi cresce la componente dei datori di lavoro». Le libere professioni abbracciano una realtà estremamente articolata. Dalle discipline artistiche alla consulenza aziendale, dalle scienze umane alle professioni tecniche, dai servizi alla persona alle funzioni di supporto amministrativo, i professionisti italiani rappresentano l’architrave del mercato dei servizi che si rivolge ai cittadini privati come alle imprese, al settore primario come alla Pubblica amministrazione. Entrando nel dettaglio, i professionisti dell’area medica, legale e amministrativa rappresentano lo zoccolo duro della libera professione in Italia: messe insieme costituiscono quasi 1/3 dell’universo professionale. Secondo il Rapporto 2018 di Confprofessioni il numero degli avvocati sfiora le 200mila unità, i medici sono circa 139mila, mentre i consulenti aziendali si attestano a 119mila. A ruota seguono architetti (95mila), ingegneri (73mila) e psicologi (55mila). Agronomi e notai chiudono la classifica rispettivamente con 6mila e 4mila professionisti.

Negli ultimi anni, infatti, l’universo professionale italiano sta cambiando pelle e se il mondo delle professioni è tuttora dominato dagli uomini, la componente femminile sta rapidamente conquistando terreno. Negli ultimi otto anni sono infatti le donne a trainare la crescita delle libere professioni, con una variazione positiva che si attesta a 176mila unità, mentre i maschi si fermano a quota 80mila. Scendendo nel dettaglio, sono le psicologhe e le biologhe a trainare la professione al femminile, da registrare inoltre come nella professione veterinaria le donne abbiano scavalcano gli uomini. Saldamente in mano a questi ultimi, invece, la professione di geologo, geometra e ingegnere. «Stiamo assistendo a un profondo ricambio generazionale, con una marcata tendenza al ribilanciamento di genere - sottolinea Paolo Feltrin, curatore del Rapporto -. Il peso delle generazioni più giovani e, al loro interno, delle donne, cresce sempre di più. Tra il 2009 e il 2017 gli over 45 che escono dal mercato del lavoro libero professionale sono per quasi l’80% uomini, mentre nello stesso il contributo delle donne alla crescita dei liberi professionisti (+255mila unità) è del 67%».

Se il fatturato complessivo dei liberi professionisti è cresciuto negli ultimi sei anni, anche i redditi medi delle professioni ordinistiche confermano una dinamica positiva. Ma sono dati da prendere con le molle avverte il Rapporto 2018 Confprofessioni, perché ogni fonte utilizza criteri di classificazione differenti. Secondo i dati Mef, il volume di affari dei professionisti è passato dai 188 miliardi del 2011 ai 207 miliardi del 2016, segnando una leggera contrazione tra il 2015 e il 2016 che ha limato al 12,4% (da 12,8%) il contributo dei professionisti al Pil. Altro criterio è quello utilizzato dal Sose (riferito ai soggetti interessati dagli studi di settore) che al 2016 fissa il reddito medio dei professionisti sui 52mila euro, in crescita del 12% rispetto all’anno precedente. Permane, comunque, un profondo divario tra le diverse professioni: si passa dai 22mila euro annui degli studi di psicologia ai 285 mila delle attività notarili. Nella parte alta della classifica si collocano anche farmacisti (121mila euro annui) e studi medici (66mila euro), mentre nelle retrovie, insieme agli psicologi, si trovano veterinari, geometri e architetti. Anche i dati di lungo periodo indicano una chiave di lettura in chiaro scuro. Tra il 2006 e il 2016 sono calati drasticamente i redditi medi di notai e farmacisti, rispettivamente -40% e -10%. In flessione anche i redditi di architetti (-16%), ingegneri (-12%) e geometri (-5%), penalizzati dalla crisi dell’edilizia e dal blocco degli appalti pubblici. In salita, invece, i redditi di veterinari (+50%), contabili, periti e consulenti (+29%) e psicologi (+22%). Negli ultimi due anni, tuttavia, il Rapporto 2018 di Confprofessioni registra un’inversione di tendenza che ha spinto in avanti le dinamiche reddituali di quasi tutte le categorie professionali.

Intanto a Bologna è stato firmato il protocollo d'intesa per una sperimentazione di servizi di supporto al lavoro autonomo. A siglare l'accordo, il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, la presidente regionale di Confprofessioni, Maria Pungetti, e il presidente del Comitato unitario professioni dell'Emilia Romagna Alberto Talamo. Intesa che riguarda anche l'Agenzia regionale del lavoro. Tra gli altri punti, il documento prevede l'apertura di sportelli per il lavoro autonomo, in via sperimentale, nei Centri per l'impiego dei capoluoghi di provincia e della Città metropolitana di Bologna. Gli sportelli dovranno offrire servizi di supporto alla creazione di lavoro autonomo, anche mediante attività di informazione e orientamento alle opportunità di lavoro autonomo sul territorio regionale, per persone in cerca di prima o nuova occupazione, con priorità agli utenti che dichiarino di aver svolto esperienze di lavoro autonomo e attività libero professionale.

In Emilia Romagna due professionisti su tre hanno un titolo di laurea o post-laurea, circa il 70% è iscritto a un Ordine professionale, quasi quattro su dieci sono donne e il 18% è anche datore di lavoro, ha cioè dei dipendenti. È la fotografia dei liberi professionisti emiliano-romagnoli, un "esercito" di circa 110mila persone (il 6% degli occupati in regione, 8% di quelli attivi in Italia), che tocca quota 120mila unità se si include anche chi svolge la professione come attività secondaria. Gli occupati liberi professionisti, con un aumento del 15% nel 2017, sono cresciuti dal 2008 più di tutte le altre tipologie lavorative (dipendenti e indipendenti) di pari passo alla consistente crescita del settore dei servizi alle imprese. La metà di loro (49%) lavora nelle attività immobiliari, dei servizi alle imprese nonché attività professionali e imprenditoriali tra cui sono comprese attività legali, amministrative, gestionali, professioni tecniche e di tipo scientifico. I dati sono contenuti nel Rapporto curato da Ervet su Occupazione indipendente e liberi professionisti, presentato oggi a Bologna nella sede della Regione Emilia-Romagna.

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