
Uno schema del buco dell'ozono realizzato dalla Nasa - Nasa
Ormai non se ne parla quasi più. Ma il buco dell’ozono, la cui scoperta risale ormai a 40 anni fa è quasi completamente sparito. E non solo dai dibattiti dell’opinione pubblica ma anche e in parte da quelli scientifici. A 40 anni dalla sua scoperta, il team scientifico lo ricorda però con orgoglio: era Il 16 maggio 1985 quando quel “buco” venne scoperto studiando i dati e le mappe. Una scoperta che, con la pubblicazione su Nature, ha cambiato il corso della storia. Gli scienziati del British Antarctic Survey (BAS) – Joe Farman, Brian Gardiner e Jon Shanklin – avevano identificato una riduzione significativa dello strato di ozono sopra l'Antartide: non un vero e proprio “buco” anche se in realtà poi è passato come tale nell’immaginario collettivo, innescando paure e preoccupazioni globali per la salute degli uomini e del pianeta. «Quando abbiamo notato per la prima volta il cambiamento nei numeri, ricordo di aver pensato che potesse essere qualcosa di peculiare dell'Antartide – ricorda Jon Shanklin, che continua a lavorare con la Base antartica britannica (Bas) - Abbiamo controllato e ricontrollato i dati, lavorando sulle osservazioni precedenti. Ma alla fine ci siamo resi conto che stavamo assistendo a qualcosa di importante e potenzialmente allarmante. Pubblicando le nostre scoperte su Nature 40 anni fa, non avremmo potuto prevedere la risposta globale che ne sarebbe seguita»
La scoperta e l’allarme che ne è seguito ha portato, nel 1987, alla firma del Protocollo di Montréal, un accordo con l’obiettivo di ridurre gradualmente i Clorofluorocarburi (Cfc), conosciuti anche come Freon all’epoca largamente utilizzati in refrigerazione, aerosol, schiume e solventi. I Cfc oggi sono ampiamente vietati a causa , appunto, del loro elevato potenziale di riduzione dello strato di ozono. Oltre a questo, sono anche potentissimi gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale. Il protocollo di Montreal è riuscito, nel tempo, a congela la produzione e l'uso delle sostanze nocive per il buco dell’ozono. Oggi rappresenta uno dei trattati ambientali internazionali di maggior successo mai attuati.
Un'analisi del 2015 di Deloitte ha rivelato che senza la tempestiva scoperta di Farman, Gardiner e Shanklin, il Protocollo di Montreal avrebbe potuto essere ritardato fino a dieci anni, peggiorando l'impatto della riduzione dell'ozono sul pianeta e naturalmente sulla vita dell’uomo. Impedendo alle radiazioni UV dannose di raggiungere la superficie della Terra, l'accordo di Montreal ha salvato migliaia di vite. Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente stima che entro il 2030, senza il protocollo, i casi di cancro della pelle sarebbero aumentati del 14% su scala globale, con un conseguente aumento di quasi 300 decessi all'anno nel solo Regno Unito. Oltre ai suoi benefici per la salute dell’uomo, il Protocollo di Montreal ha mitigato in modo significativo anche il cambiamento climatico in atto. L'uso continuato di Cfc avrebbe potuto causare un aumento delle temperature globali di altri 2,5°C entro la fine del secolo, con effetti devastanti sugli ecosistemi e le comunità di tutto il mondo.