Nell'anno dei dazi è record per il commercio globale. Ma il surplus cinese fa paura
Superata per la prima volta la soglia di 35mila miliardi di dollari negli scambi globali: l'elettronica cresce del 10%, male l'automotive. La Cina resta una macchina da export: riorientati i flussi

Nell’anno dei dazi, dell’incertezza e del ritorno alle barriere commerciali, la geografia del commercio mondiale arriva a riorientare i propri flussi, mentre il surplus da record cinese illustra il dilemma creato dal dominio di Pechino nella catena degli approvvigionamenti globali. Nel 2025 gli scambi globali supereranno per la prima volta i 35mila miliardi di dollari, una soglia simbolica che emerge in un anno denso di tensioni politiche e riallineamenti forzati delle rotte commerciali. I nuovi dati dell’agenzia Onu Unctad mostrano un sistema ancora dinamico, seppur attraversato da forze divergenti. Tra luglio e settembre il commercio ha registrato un incremento del 2,5% rispetto al trimestre precedente. Le merci hanno segnato un +2%, i servizi un +4%. Nel quarto trimestre la crescita rallenta ma non si interrompe: +0,5% per i beni e +2% per i servizi. Se le proiezioni saranno confermate, il 2025 chiuderà con un aumento degli scambi intorno al 7%, pari a circa 2,2mila miliardi di dollari aggiuntivi.
Molto del cambiamento passa attraverso la natura di questa espansione. Dopo mesi in cui l’aumento dei valori dipendeva dai prezzi, ora sono i volumi a sostenere la crescita. Un segnale di stabilità che convive con un’incertezza diffusa, alimentata da barriere tariffarie e da una competizione strategica sempre più accesa. I dazi hanno appesantito il clima globale, costringendo molte economie a ricalibrare in fretta partner e percorsi logistici. A tirare la volata sono Asia orientale, Africa e il commercio Sud-Sud. L’Asia mette a segno un +9% nelle esportazioni, sostenuto da un +10% negli scambi intra-regionali. L’Africa registra importazioni in aumento del 10% ed esportazioni del 6%. Il commercio tra economie emergenti cresce dell’8%, segno di relazioni che si fanno più strutturate.
Il dato più eloquente arriva dalla Cina, che conferma di essere il perno – ma anche il grande fattore di rischio - del nuovo equilibrio globale. Nei primi undici mesi dell’anno il surplus commerciale cinese ha raggiunto 1.080 miliardi di dollari. Le esportazioni a novembre sono cresciute del 5,9% su base annua, nonostante un crollo del 28,6% verso gli Stati Uniti. La perdita sul fronte americano è stata compensata dall’aumento delle spedizioni verso Europa, Australia e Sud-Est asiatico. Una diversificazione che, secondo molti economisti, affonda le radici nella decisione di Washington di alzare ulteriormente i dazi. «Le tariffe Usa hanno deviato le esportazioni cinesi verso altre destinazioni, intensificando la pressione competitiva in molte parti del mondo», spiega Fred Neumann di Hsbc. L’industria europea e quella americana sono quelle maggiormente a rischio, mentre il modello cinese resta sbilanciato sulle esportazioni. «Non ci sono indicazioni che i dazi di Trump abbiano frenato la macchina dell’export cinese», nota Brad Setser del Council on Foreign Relations. Nei giorni scorsi il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito che l'Europa prenderà in considerazione l'adozione di misure più severe contro la Cina se lo squilibrio commerciale non verrà affrontato.
Sul fronte settoriale, la manifattura resta il baricentro del commercio globale. Cresce del 10%, con l’elettronica al +14% grazie alla spinta dell’intelligenza artificiale. L’agricoltura vive un trimestre brillante, trainata da un +11% di cereali e frutta e verdura. Più debole l’automotive, in calo del 4%, mentre il commercio di combustibili fossili scende per effetto dei prezzi più bassi.
In questo scenario, Unctad mette in guardia da un rischio sistemico: la vulnerabilità finanziaria. «Il commercio non è solo una catena di fornitori. È anche una catena di linee di credito, sistemi di pagamento, mercati valutari e flussi di capitale», ricorda la segretaria generale Rebeca Grynspan. E avverte che «qualunque aumento della volatilità finanziaria o dell’incertezza avrà un impatto significativo sul commercio mondiale». Più del 90% degli scambi dipende da finanziamenti bancari e liquidità in dollari. Ogni scossone nei grandi centri finanziari può quindi ripercuotersi rapidamente sui flussi globali.
Le previsioni indicano una crescita mondiale in rallentamento dal 2,9% al 2,6%. Le economie emergenti resteranno più dinamiche, ma a prezzo di costi finanziari elevati, flussi di capitale instabili e rischi climatici in aumento. L’ancoraggio al dollaro dà stabilità, ma priva queste economie di margini decisionali. Di fronte a questo quadro, Unctad chiede una modernizzazione profonda delle regole commerciali e del sistema monetario. Perché, sottolinea Grynspan, «non possiamo più comprendere il commercio separandolo dalla finanza». E il 2025, con il suo miscuglio di record e tensioni, lo dimostra con una chiarezza evidente.
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