Mamme al lavoro grazie ai nidi ma con la formula part-time
di Cinzia Arena
Gli effetti del piano da un miliardo per adeguare il Paese agli standard europei monitorati da Confidustria. Lucia Aleotti: «Impatti positivi ma serve una riflessione su orari e rette»

Il collegamento è intuitivo: se ci sono i servizi per la prima infanzia le neo-mamme sono incentivate a rientrare al lavoro. A quantificare questo circolo virtuoso, con un’analisi dettagliata il focus “Investire negli asili nido aumenta l’occupazione femminile” realizzato dalle ricercatrici Chiara Puccioni e Daniela Vuri ed inserito nel rapporto Industria 2025 del Centro Studi Confindustria che sarà presentato domani. In Italia, è la premessa da cui parte il rapporto, il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro (con un tasso di occupazione femminile al 56,4% nel 2024) è determinato principalmente dalle madri. Appena il 20% rientra subito dopo il congedo obbligatorio, un altro 20% sceglie di dimettersi perché non riesce a conciliare lavoro e accudimento. Tutte le altre provano a stare in equilibrio tra impegni in ufficio e gestione dei piccoli. Storicamente il nostro Paese si è sempre trovato al di sotto dell’obiettivo “minimo” indicato dalla Ue nel 2002 vale a dire il 33% di posti nei nidi per i minori di tre anni. Oggi in realtà quel traguardo è ad un passo dall’essere raggiunto sia pure con un divario territoriale Nord-Sud elevato. Per conformarsi agli standard europei il governo ha varato nel 2007 un piano straordinario da un miliardo co-finanziato dalle Regioni per promuovere nidi sia pubblici che privati. A queste cifre si aggiungono i tre miliardi previsti dal Pnrr nel 2023 che però riguardano tutti i servizi all’infanzia da zero e sei anni. Lo studio di Confindustria ha incrociato i dati sulla disponibilità di posti nei nidi con quelli delle madri con un figlio di più di nove mesi in un arco temporale dal 2004 al 2015. I risultati sono positivi: il piano ha consentito di aumentare il tasso di copertura dei nidi e quello di frequenza rispettivamente del 12 e del 10% rispetto al periodo precedente. Gli effetti sull’occupazione, valutati due anni dopo l’avvio del piano, hanno portato ad un aumento del tasso di occupazione del 4% e di partecipazione (vale a dire della volontà di lavorare) del 6%, con un’incidenza maggiore per le mamme di bimbi con più di due anni. Ma l’altra faccia della medaglia è quella di una diminuzione delle ore lavorate del 17% con un aumento del 15% della probabilità di lavorare part-time. Un dato che testimonia lo scollamento tra gli orari dei nidi e quelli del lavoro. Indagando possibili effetti eterogenei del piano l’analisi mette infine in luce il ruolo trainante delle famiglie più benestanti mentre quelle a basso reddito non beneficiano dei servizi anche e soprattutto per il costo (in media 300 euro al mese).
«Si tratta di un lavoro pregevole, fatto in maniera oggettiva con una serietà metodologica – sottolinea Lucia Aleotti, vicepresidente di Confindustria e membro del board di Menarini –. I risultati sono in chiaro scuro: c’è una conferma dell’importanza che hanno i servizi all’infanzia come supporto all’occupazione femminile ma per la prima volta viene messo in evidenza un dato che riguarda l’occupazione part-time. In pratica senza asili nido l’occupazione diminuisce, quando ci sono aumenta ma diventa part time». Si tratta di un aspetto che merita un approfondimento complessivo sul tema degli orari, secondo Aleotti, perché non possono essere una “copia” di quelli della scuola per i più grandini ma devono rispecchiare quelli del lavoro. «C’è poi un altro tasto dolente che è quello dei costi importanti, si parla in media di 300 euro al mese. L’asilo aiuta chi può permetterselo, c’è un fattore sociale da non sottovalutare», aggiunge la vicepresidente.
Da imprenditrice Aleotti ha affrontato la questione dei servizi per l’infanzia come una priorità. Nella sede principale del gruppo farmaceutico Menarini, a Firenze, dal 2012 è operativo creato un asilo nido che è stato costruito da zero, abbattendo un fabbricato e che oggi ospita 44 bambini ed è aperto anche all’esterno. «Siamo stati “larghi” per coprire i bisogni del territorio e devo dire che il nido è sempre pieno. Abbiamo poi avviato una politica di parcheggi riservati alla mamme in attesa o in allettamento che è molto apprezzato e aiuta a ridurre i tempi di spostamento casa-lavoro».
L’obiettivo per il futuro secondo Aleotti è continuare ad investire in servizi che sono la chiave di volta dell’occupazione femminile. Non faranno miracoli sulla natalità ma possono ridurre il gender gap occupazionale e avere effetti positivi sulla crescita economica. «Dobbiamo avere l’ambizione di raggiungere un livello di occupazione femminile il più alto possibile, soprattutto considerando che in Italia la demografia non è favorevole – conclude –. Per farlo è indispensabile supportare le donne in certi momenti particolari. Abbiamo bisogno che lavorino, che possano rientrare il prima possibile perché si sentono appoggiate. In quest’ottica dare servizi è un elemento cruciale, ma occorre calibrare prezzi e orari in modo che siano accessibili a tutte».
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