I dazi sulla pasta e il “dumping”: tutto quello che c'è da sapere
di Cinzia Arena
Ombre all’orizzonte per uno dei prodotti simbolo dell’industria alimentare made in Italy dopo un'indagine su alcuni marchi nostrani: gli Usa pensano a una tariffa del 107%

Sulla pasta italiana potrebbe arrivare un mega dazio Usa del 107%, una misura che rischia di limitare l'accesso al mercato statunitense per le aziende italiane interessate facendo di fatto raddoppiare i prezzi di vendita. Il Dipartimento del Commercio americano ha accusato le aziende italiane di dumping e ha messo in agenda dal prossimo gennaio una tariffa del 91,74%, in aggiunta a quella del 15% già in vigore.
Cos'è il dumping?
Il dumping è una pratica commerciale scorretta adottata per vendere una merce a un prezzo ribassato e sotto il costo di produzione, con l’obiettivo di sbaragliare la concorrenza. Per “correggerlo” e proteggere i propri prodotti gli Stati decidono di applicare i cosiddetti “dazi antidumping”, cioè una tassa sull’import per tentare di riportare il prezzo finale di vendita a un livello considerato più equo. Negli Stati Uniti queste indagini sono piuttosto comuni, dato che il Dipartimento del Commercio raccoglie le segnalazioni da parte delle aziende su sospetti di dumping e poi le analizza. All’origine dell’operazione ci sarebbe il tentativo di favorire i competitor nordamericani del made in Italy, desiderosi di produrre pasta che giochi sull’origine italiana a prezzi (ancor più) concorrenziali. Non è la prima volta che spaghetti e maccheroni finiscono nel mirino delle indagini antidumping americane: nel 1995 fu avviata la prima inchiesta sulle importazioni di alcuni tipi di pasta provenienti e dall’anno successivo sono entrati in vigore dazi compensativi che sono tuttora attivi e vengono rivisti di anno in anno.
Le aziende coinvolte nell'indagine
L’ultima indagine avviata nell’agosto del 2024, prima che Trump diventasse presidente degli States, ha analizzato in maniera particolare le politiche commerciali di due marchi, La Molisana e Garofalo, che secondo il Dipartimento Usa avrebbero praticato un margine di dumping medio pari al 91,74%. Alle due aziende è stata contestata la mancanza di collaborazione, con l’accusa di aver fornito informazioni non sufficienti.
In base alla normativa di riferimento il super-dazio, verrebbe applicata anche alle altre 17 aziende italiane che ogni anno vengono monitorate. Si tratta dei marchi Rummo e Barilla (che produce comunque direttamente negli Usa ed è quindi meno esposto) ma anche di altre realtà meno conosciute (Agritalia, Aldino, Antiche Tradizioni di Gragnano, Gruppo Milo, Liguori, Pam, Dalla Forma, Sgambaro, Tamma, Castiglioni, Chiavenna, Cav. Giuseppe Cocco). In questa fase le aziende interessate stanno ultimando la trasmissione delle rispettive memorie scritte, mentre il governo Meloni si sta a sua volta muovendo a sostegno delle aziende nazionali. Oltre alla trasmissione di una memoria formale, sono in corso il dialogo a livello diplomatico con le autorità statunitensi. La decisone finale dovrebbe arrivare tra un paio di settimane.”
Il governo assicura: stiamo trattando
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida in visita negli Usa ha affermato che l’esecutivo sta monitorando la situazione. “Seguiamo con attenzione i dossier legati alla presunta azione anti dumping che farebbe scattare un meccanismo iper protezionista verso i nostri produttori di pasta del quale non vediamo né la necessità né alcuna giustificazione".
“La qualità della pasta italiana non è dumping. Abbiamo contestato con l'ambasciata a Washington e insieme ai pastai italiani le scelte del Dipartimento del Commercio che penalizzano il prodotto italiano" ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani su X.
"Alla Farnesina la task force dazi sta già lavorando per coordinare il negoziato con le autorità americane - ha aggiunto - Continuerò a contrastare l'italian sounding per bloccare i finti prodotti italiani".
I dati sull'export di pasta
Secondo Coldiretti nel 2024 l'export di pasta Made in Italy negli Stati Uniti ha raggiunto un valore di 671 milioni di euro, un mercato strategico che verrebbe di fatto azzerato da un dazio di pari entità, cancellando anni di crescita e investimenti lungo la filiera. Secondo i dati del Dipartimento del Commercio l'export di pasta italiana negli Stati Uniti nel 2024 si aggira intorno ai 500 milioni di dollari. Nel 2024 l’Italia ha esportato negli Stati Uniti quasi 8 miliardi di euro tra prodotti alimentari, alcolici, e prodotti agricoli, appena il 10 per cento di tutto l’export verso gli Usa.
Le reazioni
della filiera
“Si tratta di una pronuncia che ci ha molto colpiti ed amareggiati. Le due aziende prese a riferimento hanno fornito puntuali informazioni e completa documentazione" ha detto il segretario di Pastai Unione Italiana Food (UIF), Cristiano Laurenza.
"Il 91,74 % di dazi è un insulto al prodotto del Made in Italy per eccellenza segno che si tratta di una decisione politica non tecnica - ha aggiunto - Ringraziamo il Maeci che ci sta supportando in questa battaglia come anche gli altri ministeri coinvolti. In questo momento serve un segnale forte delle nostre istituzioni per evitare la chiusura del secondo mercato nelle esportazioni di pasta italiana dopo la Germania".
L’ad di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia ha dichiarato "inaccettabile” l’aumento indiscriminato dei dazi. Secondo il manager è “una forzaturà, intervenuta "in un momento particolarmente delicato" e che "avvantaggerà chi produce pasta negli Stati Uniti, danneggiando tutti quelli che esportano invece la pasta dall'Italia verso gli Usa". “Abbiamo accettato – ha aggiunto Scordamaglia – un dazio del 15 per cento, alto per moltissimi prodotti del nostro food and beverage, per avere garanzia di stabilità. E invece, appena raggiunto l’accordo, gli Usa escono con questo provvedimento strumentale e sproporzionato”.
Ripercussioni
anche in Italia?
Secondo Coldiretti un dazio così pesante "sarebbe un colpo mortale per il Made in Italy: raddoppierebbe il costo di un primo piatto per le famiglie americane e aprirebbe un'autostrada ai prodotti Italian sounding, favorendo le imitazioni e penalizzando le nostre imprese".
Ma le associazioni di consumatori temono che i dazi si traducano in rincari anche nel nostro Paese, perché i produttori punterebbero a recuperare parte dei guadagni persi. Negli ultimi cinque anni anche il prezzo del piatto tipico italiano è stato colpito dall’inflazione. In base ai dati Istat - rileva Assoutenti - "rispetto a settembre 2021 oggi un chilogrammo di pasta costa in media in Italia il 24,2% in più" in media 1,84 euro al Kg.
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