Lo sguardo "civile" oltre le ideologie

Da Hayek a Keynes, da Schumpeter a Sen, con attenzione per la tradizione italiana: Sylos Labini, Fuà e Becattini insieme a economisti cattolici come Toniolo, Fanfani e Sturzo
January 30, 2022
Lo sguardo "civile" oltre le ideologie
Il premio Nobel per l'economia Amartya Sen
Il Novecento è un secolo ambivalente per la storia del pensiero economico. A fronte di una iperspecializzazione accademica e formalizzazione/matematizzazione della disciplina economica – l’economia era appena passata da Political Economy a Economics – ci troviamo davanti ad un uso politico ed ideologico delle teorie economiche sempre più pervasivo. Come riconosciamo l’ideologia? Quando ci troviamo davanti a un’idea (dalla radice greca 'id' che rimanda all’immagine) e la utilizziamo per spiegare tutta la realtà. L’ambivalenza diventa paradosso se pensiamo che alcune teorie economiche tanto più avanzavano pretese di scientificità, e quindi di oggettività e neutralità, tanto più venivano utilizzate per scopi politici, per dividere tra 'noi' e 'loro'.
Non occorre essere studiosi di storia del pensiero economico per sapere dei conflitti, fuori e dentro l’accademia, tra neoclassici e keynesiani, o tra questi e gli economisti marxisti. Beninteso, un conto è dire ideologia un conto è dire riconoscibilità. Se sono in dialogo con te su una questione economica, mi è utile sapere la tua scuola di appartenenza, i principi della disciplina da cui parti, e viceversa. Alla fine tutto si riduce all’etica del discorso, come già sapeva Socrate in dialogo con Gorgia nel famoso dialogo platonico: se il mio obiettivo è 'vincere' il confronto dialettico, allora l’uso ideologico di una teoria economica mi è utile; se invece entrambi miriamo alla verità, la riconoscibilità delle nostre posizioni è una virtù e non un vizio. Ma come rendere ragione della complessità della storia del pensiero economico del Novecento? Come superare le ideologie in un secolo che è stato profondamente ideologico?
Nel manuale Lezioni di Storia del Pensiero Economico abbiamo seguito il consiglio di Luigi Einaudi, storico del pensiero economico e protagonista della scena politica italiana: «Dal vagabondare, mosso dalla curiosità del leggere i testi originali di gente etichettata e perciò infamata, ho tratto una convinzione: che alle istorie delle 'scuole' economiche, buone al più per agevolare durante gli esami agli studenti pigri una risposta facilmente mandata a memoria, fa d’uopo sostituire urgentemente schizzi di economisti singoli, scelti volta a volta tra i grandi, i bravi, e perché no? Tra i cattivi». Il lettore troverà la storia dei grandi economisti del Novecento da Hayek a Keynes, da Schumpeter a Hirschman e Sen. Alcuni di loro non sono riconducibili a delle tradizioni ben precise (Sen è considerato un innovatore per la tradizione liberale, ma era anche iscritto al partito comunista indiano), altri sono stati degli apripista (in quale tradizione precedente potremmo inserire Keynes? Dire Marshall è dire troppo poco).
Ci siamo occupati anche di economisti 'sconfitti' dalla storia e dall’evoluzione della disciplina. Pensiamo ad Achille Loria, il 'Marx Italiano', astro nascente della disciplina economica alla fine dell’Ottocento, progressivamente marginalizzato dai marxisti e dai neoclassici perché fautore di un pensiero economico troppo vicino agli economisti classici come Smith e Ricardo. La storia del pensiero economico, infatti, è anche storia di teorie economiche rifiutate in un determinato periodo storico ma non per questo poco interessanti per l’oggi. In questa sede sottolineerei altre due caratteristiche peculiari del nostro approccio alla storia del pensiero economico del Novecento. Da un lato, abbiamo cercato di raccontare la storia degli uomini e delle donne, delle singole persone, ancor prima o insieme a quella degli economisti. Prendiamo l’esempio del Nobel per l’economia Amartya Sen, economista e filosofo indiano. Sen è uno di quei pensatori per i quali vita e pensiero non sono mai stati ambiti separati. Gli eventi, vissuti anche in giovane età, ebbero profonde ripercussioni sullo sviluppo della sua teoria. Il giovane Sen fu molto ricettivo rispetto a quanto gli accadeva intorno, sia rispetto alla propria sfera personale sia ai problemi sociali che affliggevano la regione in cui viveva. La carestia che colpì il Bengala nel 1943 fu tra questi. Come raccontò nell’autobiografia presentata in occasione del premio Nobel, Nobel che gli fu assegnato proprio per lo studio delle carestie come problema economico e sociale, «il ricordo della carestia del Bengala del 1943, in cui erano morte da due a tre milioni di persone, e che avevo assistito da Santiniketan, era ancora abbastanza fresco nella mia mente. Ero stato colpito dal suo carattere completamente dipendente dalla divisione in classe». La carestia può avere cause naturali, ma gli effetti devastanti sono legati a fattori sociali, politici ed economici. Durante una carestia non si interrompono le merci, come potremmo pensare, ma i rapporti. Sen svela un apparente paradosso: durante le carestie del Bengala erano aumentate le merci a disposizione, quindi non fu la mancanza di cibo a provocare milioni di morti per denutrizione. Le merci c’erano, ma non arrivavano però alle persone giuste perché i rapporti sociali erano spezzati. Era la malagestione delle risorse, la mancanza di vie e metodi di comunicazione adeguati, a causare la carestia ancor prima che la mancanza effettiva di beni. Primo grande messaggio di Sen: la povertà è un rapporto, è un problema di capitali e non di reddito. Un insegnamento dell’economista Sen che non capiremmo senza conoscere la storia di Amartya. L’altra caratteristica del nostro testo è l’attenzione per la tradizione italiana di pensiero economico.
Questa è una costante del libro, il Novecento non fa eccezione. L’ultima lezione è dedicata a tre economisti italiani del Novecento: Paolo Sylos Labini (19202005), Giorgio Fuà (1919-2000) e Giacomo Becattini (1927-2017). Non poteva essere altrimenti in una storia 'civile' del pensiero economico. Provenienti da tradizioni diverse, trattando temi in parte convergenti ed in parte divergenti, i tre economisti che abbiamo scelto sono figure importanti per intuire la via italiana, meridiana, mediterranea al pensiero economico. Questo non per il provincialismo dell’analisi. Al contrario è il misurarsi con temi, economisti e dibattiti internazionali, in maniera originale e aggiungendo prospettive legate alla tradizione italiana, che fa di queste tre voci un coro (di diversi) che oggi è ancora interessante ascoltare. Nel 1988 Fuà, Becattini e Sylos Labini scrissero una lettera aperta pubblicata da la Repubblica: «La cosa più importante è che la professione dello specialista di metodi analitici per gli economisti non venga identificata con la professione di economista politico. Il pericolo specifico è che l’uso di strumenti analitici raffinati venga scambiato per il segno di riconoscimento del moderno studioso di economia politica». Ecco lo sguardo civile dell’economista alla propria disciplina: sguardo non esclusivo degli economisti italiani, ma sicuramente espressione di una specificità, di un’attenzione ai territori e alla comunità tipica del contesto meridiano-cattolico. E per evitare noi stessi ideologie e indebite contrapposizioni – Economia Civile vs mondo cattolico o Economia civile vs economia internazionale – abbiamo dedicato la penultima lezione a indagare le espressioni di Economia civile nel pensiero di economisti cattolici come Toniolo, Fanfani, Sturzo. Non solo, nelle lezioni precedenti abbiamo sottolineato alcuni dei caratteri 'civili' di economisti internazionali. Questo perché si può essere economisti civili in qualcosa anche se non lo si è in tutto. L’economia civile non è solo una tradizione italiana di pensiero economico, ma è un atteggiamento verso il mercato e la società che ha contraddistinto personaggi delle epoche e delle tradizioni più disparate. Gli economisti civili sanno che l’economia non può essere lasciata soltanto agli addetti ai lavori, perché ha a che fare con la vita, per cui è normale che ogni persona interessata alla vita se ne occupi. Chi volesse rintracciare segni della tradizione dell’economia civile nelle diverse epoche della storia d’Italia (e oltre) dovrebbe guardare non solo agli economisti o ai mercanti di professione, ma ai filosofi, ai teologi, ai poeti. Il nostro libro è un tentativo in questa direzione, la storia del pensiero economico è una delle tante storie che costituiscono il patrimonio della cultura occidentale, ma c’è ancora tanta strada da fare. Non pensiamo l’Economia civile come un’economia della salvezza: le ideologie lasciamole agli altri, noi occupiamoci di continuare un’indagine rigorosa sulle radici di una disciplina che oggi ha tanto bisogno di nuove prospettive e biodiversità.
*Docente di Filosofia ed Economia, Università di Tilburg P.Santori@tilburguniversity.edu

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