La risorsa in più della filantropia privata

Con la loro indipendenza finanziaria, le fondazioni private sono tra gli attori più capaci di innovazione e cambiamento sociale. Ecco i nodi chiave al capitolo investimenti
November 12, 2025
La risorsa in più della filantropia privata
Incrocio in mezzo a campi di grano in Iowa (Stati Uniti)/ REUTERS
In un paese come il nostro, con una cultura millenaria del dono e alcuni enti filantropici risalenti al XIII secolo, per una serie di ragioni (culturali e religiose, ma anche legate alla considerazione sociale della ricchezza, alla concezione dello Stato sociale e del sistema fiscale), la filantropia privata moderna ha iniziato a svilupparsi solo da un paio di decenni. Nelle sue forme più avanzate - fondazioni ed enti filantropici, fondi patrimoniali e correnti con diritto di indirizzo (in inglese DAFs- Donor Advised Funds), fondi collaborativi - sta, però, rapidamente diventando un orizzonte di senso a cui famiglie e singole persone guardano, non solo per restituire o redistribuire parte del proprio privilegio, lasciare una legacy, unire generazioni familiari attorno a valori comuni, ma per costruire un mondo migliore, più giusto, salubre e pacifico, e, per i credenti, per impegnarsi concretamente per "fare bene il bene”.
A differenza della beneficenza e della donazione una tantum, il potenziale della filantropia contemporanea si caratterizza per alcuni elementi distintivi: la disponibilità di risorse private, l’ambizione etica, l’orizzonte temporale, la qualità del capitale filantropico. La sua unicità sta nella ricchezza privata che può mettere a disposizione del bene comune, nella qualità degli asset, più ancora che nella quantità. Di fronte a politiche economiche, sociali, ambientali costrette a occuparsi del contingente, la filantropia, con la sua indipendenza finanziaria, ben lungi dall’essere mero erogatore-tampone, oggi è probabilmente tra gli attori più capaci di innovazione e cambiamento sociale, più efficaci nel rimettere al centro processi capaci di costruire futuro, non solo di gestire risposte emergenziali.
La filantropia, per la natura privata delle risorse di cui dispone, ha un’enorme libertà strategica e flessibilità e agilità d’azione.  Alla consapevolezza (ancora poco diffusa) del proprio ruolo e di tale pressoché totale libertà deve corrispondere, in una filantropia sana, seria, legittima, eticamente integra, una profonda responsabilità nelle scelte, in particolare in merito all’ambizione etica della propria azione filantropica, al suo orizzonte temporale e alla congruenza tra il perché, il cosa e il come.
L’ambizione etica risponde alle seguenti domande: quale ruolo si vuole avere nella e per la società? Come ci si posiziona, per esempio, rispetto all’ultimo rapporto sulla povertà in Italia della Caritas 2025: ‘Vivere, non sopravvivere’, con il 10% della popolazione in Italia (+60% negli ultimi dieci anni), una famiglia su 4 in condizione di povertà assoluta? Si ambisce a lenire, ad alleviare sofferenza, tamponare emergenze, restaurare un po’ di bellezza o contribuire ad eliminare le diseguaglianze, promuovere cambiamento sociale, lavorare per un cambiamento sistemico? Questo tipo di quesiti è rilevante perché si tratta di due mestieri molto diversi, con orizzonti temporali, modalità di investimento e impatto filantropico molto differenti. Appositamente non parlo di quantità, perché anche con quantità finanziarie limitate si può adottare un approccio trasformativo e di cambiamento sociale e sistemico (si veda per esempio Project System e Voice Over Foundation).
La congruenza degli strumenti operativi che un ente filantropico sceglie di adottare è particolarmente importante. Oggi sappiamo che il finanziamento di progetti è troppo rigido e sclerotizzante e funziona solo in pochi casi residuali: sperimentare un nuovo ambito di azione, una nuova collaborazione, un nuovo territorio. Altrimenti, è una modalità obsoleta e inadeguata che produce organizzazioni deboli, in perenne ciclo della fame e in concorrenza vitale tra loro, e un effetto di isomorfismo degli enti del Terzo Settore come progettifici.  Oggi più che mai è necessario superare modelli lineari dall’alto verso il basso, erogatore- beneficiario, che risultano inadeguati e obsoleti. Non certo per ritornare ai finanziamenti a pioggia degli anni Ottanta, ma per passare dal controllo degli input al raggiungimento di outcome, da una rendicontazione delle microattività a una valutazione di impatto, da una logica delle controparti a una logica di partnership strategica orientata alla missione e basata sulla fiducia. È un falso mito che meno spendi per l’organizzazione, più dai per la causa. I “costi di struttura” non sono il nemico della causa; sono parte del lavoro per quella causa. Senza investimento sulle organizzazioni, la causa semplicemente non si raggiunge. Oggi di fronte alla volatilità e incertezza che caratterizzano la nostra era, se si vuole contribuire a un cambiamento a livello sistemico, è fondamentale investire sulle persone, sulle organizzazioni e sui processi abilitanti orientati alla missione (core support), per creare le condizioni imprescindibili per l’innovazione sociale, abilitare creatività, imprenditività, capacità di cogliere nuove opportunità e rispondere a nuovi pericoli.
Oggi sappiamo anche che non è più il tempo del solipsismo per nessuno. In un Paese come il nostro, ancora tanto impregnato di ego, sono pochissimi gli esempi di collaborative funds o pooled funds e ancora troppo pochi i fondi filantropici con diritto di indirizzo (DAFs) presso altre fondazioni - al di fuori della rivoluzione silenziosa delle fondazioni di comunità, una delle tante meraviglie del nostro Paese. In futuro speriamo di evitare la parcellizzazione e la frammentazione della filantropia in migliaia di microenti e di vedere molti più potenziali filantropi e fondatori italiani capaci di mettere in atto processi di collaborazione e co-operazione tra di loro, per esempio utilizzando gli strumenti appena citati.
Oltre alle forme giuridiche, si sono ampliati gli strumenti a disposizione della filantropia privata: grazie alla Riforma del Terzo Settore, il portfolio oggi include anche la possibilità della venture philanthropy, l’investimento filantropico in imprese sociali attraverso l’attivazione di diversi tipi di capitale finanziario, per esempio con investimenti di rischio fatti con la parte erogativa senza chiedere un ritorno economico (impact grant, recoverable grant), ma anche di capitale non finanziario - immobiliare, relazionale, sociale, intellettuale – con l’attivazione per esempio di relazioni e connessioni, l’utilizzo della propria credibiità e patrimonio come garanzia per i prestiti degli enti del Terzo Settore che si supportano o la loro patrimonializzazione o costituzione di riserve non vincolate.
In questo momento storico di profonda trasformazione e crescente complessità, la filantropia è chiamata a un salto di qualità, di visione e di responsabilità per fare bene il bene. La filantropia di famiglia, nel nostro Paese, può giocare un ruolo cruciale nella costruzione di una società più equa e giusta, mettendo a bene comune risorse, competenze e relazioni, con una libertà strategica che pochissimi altri attori possiedono. Se sceglie di esercitare questa libertà con visione e responsabilità, può diventare vero agente di cambiamento sistemico: non solo erogatore, ma co-costruttore di soluzioni durature. È in questa prospettiva che la filantropia, e in particolare quella di famiglia, può contribuire a ridurre le disuguaglianze, promuovere coesione sociale e generare un futuro più giusto, salubre, pacifico per l’umanità e il pianeta.
 

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