Il laboratorio di Dani Rodrik per la prosperità inclusiva

L’economista della Harvard Kennedy School ha lanciato Efip, un’iniziativa di ricerca per far circolare nuove proposte di politica economica
February 9, 2022
Il laboratorio di Dani Rodrik per la prosperità inclusiva
L’economista della Harvard Kennedy School Dani Rodrik
L’aumento della disuguaglianza e le sue conseguenze hanno cominciato ad attirare l’attenzione dei governi come problemi sociali che richiedono un’azione politica significativa. «Oggi abbiamo prove molto più forti rispetto al passato che la disuguaglianza è una questione urgente che dovrebbe essere all’ordine del giorno dei principali responsabili politici», spiega Dani Rodrik, docente di Economia politica internazionale alla Harvard Kennedy School. Rodrik è convinto che gli economisti abbiano la responsabilità di far parte della soluzione e per questo tre anni fa ha lanciato un’iniziativa di studio e di condivisione chiamata Efip, ' Economics for inclusive prosperity' - una rete nella quale far circolare «uove idee per la politica».
Professor Rodrick, gli ultimi decenni di globalizzazione e innovazione tecnologica non hanno portato molti benefici ai lavoratori. Perché? È in larga parte a causa dell’applicazione radicale di molte idee politiche dominanti degli ultimi decenni, come il neoliberismo e il fondamentalismo di mercato. Questo ha fatto in modo che, nelle economie avanzate, i guadagni per coloro che hanno meno istruzione siano rimasti stagnanti nonostante gli aumenti della produttività.
Nei Paesi in via di sviluppo, le cose sono andate meglio? La teoria economica prevedeva che qui i lavoratori sarebbero stati i principali beneficiari della globalizzazione e della divisione globale del lavoro. Invece le società e il capitale hanno nuovamente raccolto i maggiori guadagni. Anche laddove prevalevano i governi democratici, la liberalizzazione del commercio è andata di pari passo con la repressione dei diritti dei lavoratori.
La disponibilità di buoni posti di lavoro è importante per i lavoratori stessi, o anche per la società? I mali del mercato del lavoro creano tensioni sociali e politiche. Il declino di posti per le 'tute blu' ha alimentato un aumento della disgregazione familiare, dell’abuso di droghe e della criminalità. Ed è documentato l’aumento delle 'morti per disperazione' tra gli americani meno istruiti. Inoltre una crescente letteratura empirica collega l’ascesa del populismo autoritario di destra alla scomparsa di posti di lavoro dignitosi e sicuri. Questa serie di potenziali costi economici, politici e sociali non viene necessariamente presa in considerazione quando le imprese prendono decisioni di produzione e investimento. Ciò apre possibilità di intervento pubblico.
Di che tipo? Per far fronte alla scomparsa di buoni posti di lavoro, alla proliferazione di impieghi senza garanzie e mal pagati e alla depressione dei mercati del lavoro regionali è necessario potenziare i tradizionali interventi nella preproduzione, come l’istruzione e la formazione, e nella post-produzione, come la tassazione progressiva e le assicurazioni sociali. Ma non solo. È fondamentale affrontare la fase di produzione. Qui si può intervenire con norme sul salario minimo, quadri nazionali per promuovere l’apprendistato e contributi ridotti per le imprese con dipendenti a basso reddito, ma anche politiche di cluster per generare e diffondere innovazione in aree svantaggiate, formazione sul lavoro e politiche commerciali a tutela dei prodotti locali.
In seguito alla penuria di manodopera causata dalla pandemia, i problemi del lavoro stanno ricevendo una rinnovata attenzione. I lavoratori possono approfittarne per avere accesso a lavori dignitosi? Perché succeda occorre fare leva sull’interesse delle grandi aziende. I lavoratori soddisfatti sono più produttivi, si licenziano meno a forniscono un buon servizio ai clienti. Questo permette di aumentare i profitti anche mentre si pagano buoni salari e si investe nei propri dipendenti. È un primo passo.
Ma molte aziende, soprattutto negli Stati Uniti, restano fortemente anti-sindacali e considerano ridurre al minimo la retribuzione dei lavoratori come la strategia più redditizia. In effetti storicamente sono l’azione collettiva e l’organizzazione sindacale ad aver portato i guadagni più significativi per i dipendenti. Quindi occorre aumentare il potere organizzativo del lavoro nei confronti dei datori. Ma l’esperienza in molti Paesi europei suggerisce che potrebbe non essere abbastanza. Forti diritti dei lavoratori possono creare mercati del lavoro dualistici, in cui i vantaggi maturano per gli 'insider' mentre i più giovani e meno esperti lottano per trovare un impiego.
Che fare allora? Una terza strategia è garantire un’adeguata domanda di lavoro attraverso politiche macroeconomiche espansive. Quando la politica fiscale mantiene alta la domanda, i datori di lavoro inseguono i lavoratori e la disoccupazione rimane bassa. L’austerità macroeconomica è una delle ragioni principali per cui i salari statunitensi sono rimasti indietro rispetto alla produttività. Al contrario, l’aggressiva risposta fiscale alla crisi del Covid-19 ha assicurato un aumento dei salari e un forte calo della disoccupazione, anche se non ha fatto abbastanza per i lavoratori meno qualificati o le regioni depresse. Bisogna allora pensare a programmi di sviluppo che inviino incentivi alle imprese che hanno maggiori probabilità di generare posti di lavoro dignitosi nelle regioni depresse.
E la tecnologia? Non sempre ha aiutato i lavoratori e spesso ha aumentato la disuguaglianza. Infatti occorre ripensare le politiche di innovazione. La narrativa attuale si concentra su come i lavoratori dovrebbero riqualificarsi per adattarsi alle nuove tecnologie e troppo poco su come l’innovazione dovrebbe adattarsi alle competenze della forza lavoro. Ma la direzione del cambiamento tecnologico è flessibile e dipende dagli incentivi sui prezzi, dalle tasse e dalle norme prevalenti tra gli innovatori. Le politiche governative possono aiutare a guidare le tecnologie di automazione e intelligenza artificiale lungo un percorso che integri le competenze dei lavoratori invece di sostituirle.

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