Essere impresa e Fare azienda

Nello scorso articolo abbiamo provato a comprendere l’importanza della capacità di discernere, tanto più quando è la complessità a farla da padrone. Ma il discernimento si misura sempre con la situazione rispetto alla quale dobbiamo operare una scelta: sia essa l’organizzazione di un’attività o l’acquisto di una casa. Che scelta è bene fare? Questa rubrica si rivolge principalmente a chi lavora, qualunque sia la sua responsabilità, e dunque conoscere meglio la parola 'impresa' non è cosa da poco per discernere, paradossalmente, su cosa significa fare impresa. Termine che è l’unione tra il prefisso 'in' e il verbo 'prehendere' e letteralmente indica la capacità di prendere un’iniziativa, di assumere una responsabilità tesa a raggiungere un risultato. In genere un obiettivo importante, non semplice da conseguire e che, proprio per questo motivo, necessita di energie, competenze, risorse. Anche nella vita privata realizziamo tante imprese, siamo motivati dal condurre in porto progetti e per questo cerchiamo di soppesare i benefici e le difficoltà, di pianificare le risorse e di organizzare al meglio le azioni per evitare che i risultati che vogliamo raggiungere diventino chimere. Ma, prima ancora, cerchiamo di capire se gli obiettivi che ci siamo prefissati sono giusti e legittimano gli sforzi che faremo. In ultima istanza cerchiamo di 'discernere' se sono tesi a produrre valore o a lasciarci con un pugno di mosche in mano. In sintesi: se stiamo iniziando un’impresa o semplicemente 'faremo' qualche cosa. A tale proposito la parola 'azienda' deriva da quella spagnola 'hacienda' e riprende il verbo latino 'facere', quasi a sottolineare un luogo dove si fanno cose, dove si agisce. Rispetto a 'impresa', il termine 'azienda' dunque ridimensiona la 'nobiltà' dell’obiettivo da raggiungere, il 'perché' e il 'per chi', lo pone in secondo piano, al punto tale che dallo stesso deriva il termine 'faccendiere' che ben evidenzia colui che agisce per altri fini. Ne deriva una domanda quasi scontata: le nostre sono imprese o aziende? Nel lavoro quotidiano sviluppiamo attività tese al solo, legittimo, profitto o usiamo il profitto per provare a raggiungere un obiettivo più grande? Quando mobilitiamo risorse, persone, tempo per finalizzare un obiettivo, il risultato che ne deriva legittima quello sforzo? Produce un valore collettivo e sostenibile o, con il senno di poi, il risultato finale ci lascia l’amaro in bocca? Gli esempi degli ultimi anni sono significativi: Ilva è stata a tutti gli effetti un’azienda, ma è stata un’impresa? Visti i pessimi risultati economici e gli effetti devastanti prodotti sull’ambiente e la società? E il Monte dei Paschi, impresa che per secoli è stata capace di generare ricchezza e valore per tutti i suoi stekeholder, cosa è diventata poi grazie ad alcuni faccendieri? Se 'l’albero lo si riconosce dai frutti' come recita un famoso passo allora per creare una 'vera' azienda serve essere una 'vera' impresa, ovvero capire verso quali obiettivi indirizzare le proprie risorse, verso quale valore dirigere gli sforzi. Chi, come me, opera nella consulenza e nella formazione orientata ai nuovi modelli di 'ecologia ed economia integrale' si confronta sempre con l’esperienza di Adriano Olivetti e il suo anelito verso un’impresa tesa a sviluppare altri 'fini oltre a quelli che stanno nell’indice dei profitti', citando una delle sue frasi profetiche. Tra questi nuovi modelli che certamente in questa direzione vanno, meritano grande attenzione le aziende che decidono di divenire 'Società Benefit'. Il cuore del 'nuovo' istituto giuridico è difatti il cosiddetto 'Scopo Duale' nel quale specificare il 'beneficio comune', gli scopi sociali e ambientali strategici che l’azienda intende perseguire. Quei fini citati da Olivetti da raggiungere, accanto al valore economico, e che contribuiranno a farla divenire un’impresa.
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