Sessant'anni fa il Concilio Vaticano II: «Io c'ero, ve lo racconto»

In occasione dell'anniversario della chiusura dei lavori conciliari, il nostro colloquio esclusivo col cardinale francese Poupard, all'epoca officiale della Segreteria di Stato: «Lì scoprii l'universalità della Chiesa»
December 8, 2025
Sessant'anni fa il Concilio Vaticano II: «Io c'ero, ve lo racconto»
Papa Paolo Vi e Jacques Maritain durante la cerimonia di chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965 / SICILIANI
Esattamente 60 anni fa, l'8 dicembre 1965, Paolo VI in piazza San Pietro, dopo poco più di tre anni di confronto, chiudeva il Concilio Vaticano II, un evento che parrebbe lontano nel tempo ma che conserva tutta la sua profezia. Lo sottolinea bene il cardinale francese Paul Poupard, che era presente e che ha fatto di quel sogno di una Chiesa aperta al mondo rappresenta e simboleggia ancora la «bussola e cardine di tutta la vita». Paul Poupard, classe 1930, creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1985, è oggi presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura e del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Il porporato francese è soprattutto uno degli ultimi testimoni viventi di quell’assise che cambiò il volto della Chiesa. «Il Vaticano II – racconta oggi il cardinale che ha compiuto 95 anni lo scorso 30 agosto – è stato soprattutto un’occasione privilegiata in cui la Chiesa si è confrontata al suo interno sui grandi temi dalla riforma liturgica al guardare al mondo, alla modernità e ai giovani di allora. Le quattro sessioni conciliari hanno fatto soprattutto emergere “la possente sinfonia” di voci e di contributi originali portati avanti dai vescovi e da teologi di fama internazionale con cui si è plasmato il Vaticano II».
L’allora trentaduenne don Poupard, originario della diocesi di Angers visse il Concilio da “vicino” come officiale della Segreteria di Stato svolgendo così il suo servizio, in quei proficui anni romani (1962-1965) a fianco di Papi del rango di Giovanni XXIII e Paolo VI. «Ero allora un sacerdote alle “prime armi” chiamato in Segreteria di Stato all’inizio del pontificato di Giovanni XXIII, di cui ricordo ancora la grande umanità e capacità di ascolto. Grazie alle udienze private che papa Roncalli mi concesse – è la rievocazione commossa dal suo appartamento nel cuore di Trastevere a Roma – potei apprezzare la sua profonda conoscenza di studioso dei Concili. Ho avuto il privilegio di vivere dal di dentro questo evento straordinario. Di quell’assise mi tornano spesso in mente i confronti accesi, qualche volta acuti e decisivi tra i padri conciliari, gli innumerevoli incontri con i periti, penso in particolare a De Lubac, Daniélou e Congar». Un’assise irripetibile che segnò, a giudizio del cardinale francese, il corso della storia. «Il Vaticano II che fu veramente ecumenico è stata per me – racconta ancora – la scoperta meravigliosa della cattolicità della Chiesa. Ma sono ancora vive in me le tempeste del post-Concilio vissute accanto al papa Paolo VI e la tenace messa in pratica del Vaticano II di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Papa Francesco e Leone XIV (che a conclusione del Concilio era allora un giovane ragazzo statunitense di dieci anni), sono stati i veri continuatori, per il loro stile e cifra pastorale, dei grandi insegnamenti suscitati e impressi dal Vaticano II».
Il cardinale si sofferma sull’attualità dei testi che furono votati nell’Aula di San Pietro nelle quattro sessioni (dal 1962 al 1965). E pone l’accento anche su ciò che produsse la “macchina del Concilio” sedici documenti (distribuiti in oltre centomila parole) nei suoi tre anni di attività: quattro Costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. «Ogni documento rappresenta una storia e una sintesi a sé. Si potrebbe rileggere questi testi anche venti volte e ogni volta si scoprirebbe qualcosa di nuovo. Certamente pietre miliari del Vaticano II sono state le due grandi Costituzioni dogmatiche Lumen Gentium e la Dei Verbum. Sono state tappe importanti che hanno cambiato il linguaggio della Chiesa verso il mondo; si pensi solo all’attenzione che quell’assise ebbe nei confronti del laicato, dei religiosi, dei vescovi, all’importante definizione voluta da Paolo VI di Maria come “Madre della Chiesa”. Credo che il modo migliore per essere oggi fedeli ermeneuti del Concilio Vaticano II sia quello di essere autentici interpreti del suo messaggio. Io ritengo che, a distanza di sessant'anni il Concilio è ancora lontano dall’essere ascoltato e capito».
Un capitolo a sé stante del «periodo conciliare» – a giudizio di Poupard – fu la faticosa gestazione e stesura della Costituzione pastorale Gaudium et spes così attenta ai «segni dei tempi» come direbbe il teologo domenicano Marie Dominique Chenu. «Si tratta di un testo che risente del suo tempo ma è ancora attualissimo – è l’argomentazione – per la sua apertura al mondo contemporaneo ai temi della giustizia e dell’economia e come spesso mi è capitato di dire le radici della Gaudium et spes hanno la loro continuazione ideale e programmatica nella grande Enciclica sociale del 1967 di Paolo VI la Populorum progressio». Poupard ricorda quanto di questa Costituzione pastorale uno dei padri nobili (fece parte della famosa commissione ristretta di Ariccia) sia stato l’allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, il futuro Giovanni Paolo II. «Rammento come fosse ieri quando il Papa polacco mi chiese di succedere al segretariato per i non credenti al cardinale austriaco Franz König. In quel frangente mi disse: ”Lei deve sapere che la Gaudium et spes è stata fatta e pensata come un biglietto da visita per tutti gli uomini che non sono di Chiesa, anche non credenti, e agnostici e così rispondere a loro su quesiti nodali come: “Cos’è la Chiesa o che cosa fa la Chiesa”. Penso che grazie alle parole di allora di papa Wojtyla si comprenda ancora oggi quanto sia attuale questa Costituzione conciliare».
All’anziano porporato torna alla mente la solenne chiusura del Concilio da parte di Paolo VI, l’8 dicembre di 60 anni fa in piazza San Pietro, in cui il Papa di Concesio spiegò come il Concilio avesse rivolto «la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica della cultura moderna». E proprio 9 dicembre sempre di 60 anni fa vennero indirizzati da papa Montini otto messaggi al mondo: ai padri conciliari, ai governanti, agli intellettuali (consegnato simbolicamente a Jacques Maritain), agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri e agli ammalati, ai giovani. «Quelle giornate finali furono per me indimenticabili – è il ricordo commosso del cardinale – anche per i gesti profetici di cui fu protagonista papa Paolo VI». Di qui la riflessione: «Sicuramente è stato un evento che ha permesso di rappresentare per la Chiesa una Magna Charta sul futuro. La grande aspirazione di oggi, a mio giudizio, è quella di realizzare quella nuova Pentecoste sperata da Giovanni XXIII, e attesa dallo Spirito Santo. Mi riconosco nelle parole pronunciate nel 2005 da Benedetto XVI di scoprire una giusta “ermeneutica della continuità” tra il prima e il dopo Vaticano II dove non c’è una rottura, uno spartiacque ma un filo rosso che unisce il grande Concilio del Novecento con tutti gli altri». E annota infine pensando proprio a questo importante anniversario così simbolico: «Io mi sono spesso ritrovato, riflettendo sul 60° del Concilio, nelle parole del cardinale Gabriel Marie Garonne quando affermava: “Tappa dopo tappa il Concilio ha compreso che, seguendo l’invito di Giovanni XXIII, più che inventare cose nuove, doveva imparare ciò che già sapeva”».

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