Il Papa al Meeting: troppo dolore innocente, dalle macerie nasca la pace

Alla vigilia dell'appuntamento di Rimini, Leone XIV, tramite il cardinale Parolin, scrive ai partecipanti: dove i "grandi" non arrivano serve la profezia delle religioni e della società
August 20, 2025
Il Papa al Meeting: troppo dolore innocente, dalle macerie nasca la pace
Ansa | Papa Leone XIV tiene in braccio una bimba in Aula Paolo VI al termine dell'udienza generale di ieri
Pensare ai «deserti» del nostro tempo, come ai luoghi eletti dove «nasce il popolo di Dio». Prendere in mano lo stile del dialogo come fosse il «mattone nuovo con cui costruire il futuro» di pace che il Padre ha immaginato per tutti. Nel Messaggio ai partecipanti della 46ª edizione del Meeting per l’amicizia dei popoli, a firma del segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, papa Leone XIV ha sottolineato la grande attualità del tema scelto per la manifestazione annuale al via oggi a Rimini: “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. «È un invito alla speranza», ha iniziato il Pontefice, augurando agli organizzatori, ai partecipanti e ai circa tremila volontari della kermesse, «di riconoscere nella gioia che la pietra scartata dai costruttori è stata posta come “pietra d’angolo, scelta, preziosa”».
E «deserto» è proprio il nome che si dà in genere, ai «luoghi scartati e ritenuti inadatti alla vita», inospitali. Si può pensare ad aree geografiche, sì, ma la mente corre alle periferie umane, tra chi soffre per la fame, tra le macerie delle guerre. Eppure, ha aggiunto Prevost nel testo pubblicato ieri e indirizzato al vescovo di Rimini, Nicolò Anselmi, «là dove sembra che nulla possa nascere, la Sacra Scrittura continuamente ritorna a narrare i passaggi di Dio». Un Dio biblico che predilige il luogo del silenzio per palesarsi al suo popolo, che «soltanto in cammino fra le sue asperità matura la scelta della libertà». È proprio il “deserto”, che il Padre sceglie di trasformare «in un luogo di amore e di decisioni», «in un giardino di speranza». Nell’Antico Testamento, profeti come Osea ne parlano come dello «scenario di un fidanzamento, al quale ritornare ogni volta che il cuore si intiepidisce, per ricominciare dalla fedeltà di Dio», ha commentato il Papa, ricordando anche che monache e monaci, da millenni, abitano il deserto «in rappresentanza dell’intera umanità, presso il Signore del silenzio e della vita».
Di vita nel deserto e di dialogo parla la storia dei martiri di Algeria, i 19 religiosi, uomini e donne, tra cui i sette monaci trappisti di Tibhirine e il vescovo Pierre Claverie, uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996 e proclamati beati l’8 dicembre 2018 da papa Francesco. Alla loro testimonianza è dedicata una delle mostre del Meeting, organizzato dalla Fondazione Meeting legata alla Comunità di Comunione e Liberazione, che papa Leone XIV ha sottolineato nel Messaggio. «In essi risplende la vocazione della Chiesa ad abitare il deserto in profonda comunione con l’intera umanità – ha scritto –, superando i muri di diffidenza che contrappongono le religioni e le culture, nell’imitazione integrale del movimento di incarnazione e di donazione del Figlio di Dio». Dello stile missionario delle religiose e dei religiosi, morti per mano dei fondamentalisti islamici durante la guerra d’Algeria, Prevost sottolinea in particolare la «presenza» e la «semplicità». Il tipo di dialogo di cui si sono fatti portavoce non è stato «un’auto-esibizione, nella contrapposizione delle identità», ma quello del «dono di sé fino al martirio».
Da qui l’importanza di un «dialogo della vita», tra persone, fedi e culture diverse, da sempre perno dell’attività del Meeting, che diventa strumento per costruire il mondo sognato da Dio. «Non mancheranno, come è consuetudine, dialoghi tra cattolici di diverse sensibilità e con credenti di altre confessioni e non credenti – ha ribadito il Pontefice –. Sono importanti esercizi di ascolto». E poi ha aggiunto tornando sul tema della pace: «non possiamo più permetterci di resistere al Regno di Dio, che è un Regno di pace. E là dove i responsabili delle Istituzioni statali e internazionali sembrano non riuscire a far prevalere il diritto, la mediazione e il dialogo, le comunità religiose e la società civile devono osare la profezia». Usare il dialogo come strumento per la risoluzione di conflitti, per Leone oggi significa «lasciarsi sospingere nel deserto e vedere fin d’ora ciò che può nascere dalle macerie e da tanto, troppo dolore innocente».
Leone XIV ha ricordato l’urgenza, già espressa ai vescovi italiani lo scorso giugno, di «promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». E ancora ha proposto che «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo», perché «la pace non è un’utopia spirituale».
Per costruire un futuro di pace, però, occorre riposizionare al centro quell’«opzione per i poveri» che papa Francesco in Evangelii gaudium aveva ricordato essere «una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica». Senza «le vittime della storia», «gli affamati e gli assetati di giustizia», senza «gli operatori di pace, le vedove e gli orfani, senza i giovani e gli anziani, i migranti e i rifugiati», «senza il grido di tutta la creazione non avremo mattoni nuovi», si legge nel Messaggio. Al contrario, «negare le voci altrui e rinunciare a comprendersi sono esperienze fallimentari e disumanizzanti – ha aggiunto il Papa –. Ad esse va opposta la pazienza dell’incontro con un Mistero sempre altro, di cui è segno la differenza di ciascuno». E sono proprio i cristiani impegnati e consapevoli a dover prendere questi mattoni tra le mani, facendo le giuste scelte nella quotidianità, a supporto dei più fragili. La presenza dei cristiani «deve tradurre il Vangelo del Regno in forme di sviluppo alternative alle vie di crescita senza equità e sostenibilità», abbandonando «l’idolatria del profitto che ha pesantemente compromesso la giustizia, la libertà d’incontro e di scambio, la partecipazione di tutti al bene comune e infine la pace».
Se dunque il deserto diventa luogo dove Dio si “trasfigura”, il cristiano non può professare una fede che «si estranei dalla desertificazione del mondo, o che, indirettamente, contribuisca a tollerarla», ha scritto ancora Prevost. Perfino la «rivoluzione digitale in corso» potrebbe rischiare di accentuare le discriminazioni e i conflitti che inaridiscono le vite degli uomini: questa novità, ha aggiunto il Vescovo di Roma, «va abitata con la creatività di chi, obbedendo allo Spirito Santo, non è più schiavo, ma figlio». Solo così, ha concluso, «il deserto diventa un giardino e la “città di Dio”, preannunciata dai santi, trasfigura i nostri luoghi desolati».

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