venerdì 16 maggio 2014
​A Roma manifestazione con la Comunità ebraica. Intervista e foto.
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In tanti si sono ritrovati al Colosseo nella serata di giovedi. Un cristiano siriano, scampato alla guerra. Una donna eritrea, una cristiana, che con l’aiuto di un imam musulmano salva i profughi persi nel deserto del Sinai dopo essere riusciti a sottrarsi ai moderni schiavisti. E le sorelle di Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito in Siria quasi un anno fa, e del quale non si hanno da allora più notizie.

Sono alcuni dei testimoni che giovedì sera hanno parlato alla manifestazione, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità Ebraica di Roma, con il sostegno del sindaco di Roma Ignazio Marino: appuntamento con una fiaccolata al Colosseo per esprimere solidarietà ai cristiani che rischiano la vita per professare la propria religione. Quando le luci dell’Anfiteatro Flavio sono state spente, e nello stesso momento si sono alzate le fiaccole in ricordo delle vittime delle oppressioni, per dire basta a ogni forma di fanatismo ed estremismo, per dire basta a ogni tipologia di persecuzione e per ricordare le anime di chi è stato vittima di odio anti-cristiano.

Un’occasione, spiega il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, per sottolineare come «la persecuzione contro i cristiani, troppo spesso sottovalutata o nascosta da un velo di indifferenza, travalica ovunque i confini tra le denominazioni religiose e deve spingere all’intervento solidale di tutti gli uomini e le donne di buona volontà».

Una mobilitazione inedita.«Sì, e che nasce dal desiderio di pregare per tutti coloro che, in maniera conosciuta o meno conosciuta, soffrono in tanti parti del mondo, dall’Africa all’Asia, al Medio Oriente, a motivo della fede. E mi sembra molto importante il fatto che questa manifestazione sia stata organizzata assieme da una comunità cattolica e dalla comunità ebraica di Roma, con una partecipazione significativa di tanti musulmani che vivono in Italia e che esprimeranno anche loro la propria solidarietà, pur se, naturalmente, i musulmani non hanno una rappresentanza così definita a livello comune, e sono presenti a livello individuale».

Che cosa significa questo?«Significa che lo Spirito di Assisi, quello che Giovanni Paolo II aprì nel 1986 con la preghiera per la pace di tutte le religioni, si sta facendo strada. E lo Spirito di Assisi, cioè l’incontro delle religioni per la pace e contro ogni forma di violenza religiosa, contro ogni fondamentalismo violento religioso, è oggi una risposta importante per superare tante situazioni di violenza. Noi siamo davvero convinti che questo spirito possa aiutare nei processi di pace: penso al Centrafrica, dove si sta per aprire uno scontro tra cristiani e musulmani, e a tante altre situazioni. Il ruolo delle religioni dev’essere quello della pace, che poi è inscritta nel cuore di ogni religione, e proprio le religioni possono togliere acqua al fondamentalismo violento, a ogni tipo di terrorismo su base religiosa. Ecco, il significato dell’incontro al Colosseo alla fine è proprio in questo: uniti, tutte le religioni, cristiani, ebrei, musulmani, contro ogni giustificazione della violenza su base religiosa».

C’è una ragione particolare nella scelta della data?«No, nessun motivo particolare se non l’urgenza di esprimere solidarietà innanzitutto alle ragazze rapite in Nigeria, che per più dell’ottanta per cento sono cristiane, rapite da un gruppo fondamentalista che si dice islamico come i Boko Haram. Ma, insieme, anche l’urgenza di portare la nostra solidarietà ai cristiani in Siria, ai tanti rapiti, da padre Paolo Dall’Oglio ai vescovi sequestrati in Siria, e a tutti quelli che stanno soffrendo per questa guerra. E far sentire la nostra voce di persone credenti, ma anche della società civile, perché chi soffre a causa della fede non si senta lasciato solo non si senta abbandonato. Non è quindi una manifestazione “contro” qualcuno, ma una manifestazione di vera solidarietà».
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