martedì 10 maggio 2022
Parla l'inviato del Papa sul fronte della solidarietà: l’angoscia e insieme la dignità dei profughi, gli effetti della guerra sui poveri, la determinazione del Pontefice a volerla fermare...
Il cardinale Czerny in Ucraina

Il cardinale Czerny in Ucraina - .

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Ascoltare, vedere, imparare. E testimoniare la vicinanza del Papa e della Chiesa tutta. Quando parla dei suoi recenti viaggi in Ucraina il cardinale Michael Czerny usa quattro verbi che ne spiegano bene il senso. 75 anni, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, il porporato è stato due volte sul fronte della sofferenza del popolo sotto assedio. Prima al confine con l’Ungheria, poi facendo tappa in Slovacchia. Nel bagaglio di ritorno, storie di esistenze spezzate, racconti di sofferenza e morte, ma anche voglia di riprendersi la vita.

E speranza. «Il Santo Padre – spiega Czerny – ci ha chiesto di portare “la presenza non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: la guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!”. Lo ha detto anche all’Angelus del 6 marzo. Le persone incontrate, i profughi, le madri, i bambini e i ragazzi in fuga dall’orrore della guerra, hanno percepito subito la sua presenza in mezzo a loro, la sua solidarietà, la sua preghiera, il suo abbraccio paterno: io non ho dovuto spiegare nulla. Ho visto, ascoltato, imparato, e comunicato l’amore di Francesco per ogni uomo e ogni donna nella sofferenza. Si è trattato di una missione di preghiera, di profezia e di denuncia. Il cardinale Konrad Krajewski ha portato inoltre anche aiuti materiali (come prodotti medico-sanitari) per soccorrere la popolazione.

Lei, come si diceva, in marzo ha incontrato la popolazione ucraina. Cosa ha visto?
Nei volti dei rifugiati, ho visto l’orrore della morte e della paura. La ferocia di Caino che ammazza il fratello Abele. Ho visto la disperazione di chi ha lasciato tutto e tutti i parenti e gli amici cari, per mettersi in salvo. La situazione era ed è drammatica, e tale rimarrà fino a che non si arriverà a un cessate il fuoco, a una tregua e a un accordo stabile. Dobbiamo pregare e lavorare sodo per questo, tutti.

Il suo incarico era portare la solidarietà del Papa e della Chiesa ai familiari delle vittime, ai profughi. Che persone ha incontrato?
Devo dirle che ho trovato un’umanità che non si piange addosso e non si rassegna. Pur nel momento terribile che stanno vivendo, ho incontrato persone di una dignità incredibile, che spesso le avversità danno. Si è vista chiaramente la speranza di comunità che si mettono al servizio per aiutare l’altro, per accogliere chi è rimasto senza niente: tanti volontari, sacerdoti, persone inserite in organismi di carità (come Caritas, Jesuit Refugees Service, Sovrano Ordine di Malta, Sant’Egidio), o che individualmente si sono messe insieme per portare conforto. Ho incontrato tanti "artigiani di pace" e ho capito una volta di più che nessuno si salva da solo. Ce lo ha ricordato il Papa durante la pandemia, è ancora più vero oggi.


Il ricordo della sua famiglia
perseguitata nella seconda guerra mondiale
«Ai giovani dico: capisco rabbia e scoramento
ma non dimenticate il bene ricevuto»

Qual è l’immagine più forte che si è portato a casa?
Porto l’immagine di tutte quelle donne incontrate nei tanti centri di accoglienza che al confine hanno dovuto dire addio ai loro mariti, tornati indietro per andare a combattere. In queste situazioni, purtroppo, si alimentano i problemi della tratta e del traffico di esseri umani: tragedie nelle tragedie proprio in queste situazioni di guerra, emergenza e confusione si infiammano. Lo ha ribadito anche un report di qualche giorno fa del Consiglio d’Europa. O di quella signora disperata perché aveva perso il cellulare con tutti i contatti delle persone care… Tanti volti e storie, purtroppo angoscianti.

Recentemente, lei ha ricordato come i suoi genitori, che vivevano in Moravia, siano stati perseguitati durante la Seconda guerra mondiale. Tanto da decidere di emigrare in Canada. Che peso ha avuto quel ricordo nella sua missione?
Non posso non rivedere ciò che abbiamo vissuto con la mia famiglia. Vorrei dire ai giovani di oggi, che sono costretti a tagliare le loro radici e si sentono persi: «Capisco il vostro scoraggiamento, anche la vostra rabbia, ma non perdete la speranza! Non dimenticate la vostra patria, i fratelli e le sorelle che avete lasciato, ma vivete appieno la vita che vi si apre davanti». Io non ho mai dimenticato il bene che ho ricevuto arrivando in Canada dall’allora Cecoslovacchia, sono certo che non lo dimenticheranno nemmeno questi giovani. Il bene non si dimentica, quando lo hai ricevuto Dio ti dà la forza di moltiplicarlo per gli altri.

Il Papa ha ribadito di essere disponibile ad andare a Mosca per incontrare Putin.
Il Santo Padre è pronto a fare qualsiasi cosa per la pace, la concordia e la giustizia. Lo dice fin dall’inizio del conflitto. Sta dimostrando una forza e una determinazione straordinarie, anche in questo momento di difficoltà fisica. Preghiera, mediazione diplomatica, assistenza umanitaria: sono questi gli strumenti che il Papa e la Santa Sede possono, da sempre, mettere in campo.

Ma per ottenere la pace, secondo lei da dove bisogna partire?
Dalla conversione del cuore. Avendo cura anche di chi ci sta accanto. Nessuna arma potrà garantire la sicurezza e la concordia. Solo l’amore verso il proprio fratello e la propria sorella è vincente. Con la guerra perdono tutti. Poi, dal dialogo con ogni persona: non è una parola vuota come pensano molti, ma l’unica alternativa alla violenza e al caos. Non bisogna stancarsi di cercare spiragli per una mediazione, certamente difficile ma sempre possibile. Sa perché la Chiesa, i preti, le suore, gli organismi di carità, i nunzi, non abbandonano i Paesi in cui si trovano, anche durante la guerra? Perché - come diceva san Giovanni XXIII, così ha raccontato il cardinale Loris Capovilla - mai bisogna interrompere i canali di comunicazione e i rapporti diplomatici. Mai. Altrimenti è la fine.

Quali saranno a suo modo di vedere gli effetti più diretti di questo conflitto? Già oggi vediamo un drammatico aumento del numero dei profughi.
Le conseguenze saranno nel breve e nel lungo periodo. L’aumento del numero di profughi senza più nulla, che andranno a innestarsi nei Paesi che sapranno accoglierli. Attraverso dati Unhcr e Iom, sappiamo che nei primi due mesi di guerra già 5 milioni di persone sono state costrette a lasciare l’Ucraina, il 90% sono donne e bambini. Ma vedo anche il sorgere delle malattie, la fame, la disoccupazione. E a lungo termine la difficoltà di ricostruire uno spirito di fiducia, e poi di comunione, in un’area geografica che è una ricchezza dal punto di vista delle diverse etnie e religioni presenti. Infine, una questione basilare, a livello sistemico: l’Europa deve ripensare sé stessa, non basta il buon funzionamento delle strutture burocratico-amministrative.

Ma lei in questi giorni che cosa chiede innanzitutto nella preghiera?
Che Dio Padre abbia pietà di noi. Non solo di chi fa la guerra con le armi, ma di tutti noi che siamo qui e abbiamo ancora il cuore duro come la pietra. Fatichiamo ancora ad aprirci verso l’altro e verso la casa comune, dobbiamo fare di più. Quante volte vediamo ogni giorno un nostro fratello o sorella implorare la nostra compassione, sul ciglio della strada? Ci comportiamo come il samaritano o passiamo oltre?

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