martedì 1 luglio 2025
Nell’Anno giubilare dal penitenziarioun appello alla comunità cristiana locale perché aiuti chi ha commesso errori a ripartire
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«Vorremmo così tanto che il popolo di cui ci sentiamo parte sapesse che dietro al muro del carcere ci siamo anche noi, la piccola Chiesa in carcere che è in un cammino di consapevolezza e responsabilità, che parte dal pentimento e prova a rinascere e ricostruire esistenze». Così scrivono i detenuti del carcere di Treviso al vescovo Michele Tomasi e ai fedeli della diocesi, col desiderio di partecipare al Giubileo della Speranza. «Con umiltà, ci rivolgiamo a voi, sorelle e fratelli della diocesi: che sia questo tempo – è l’augurio che aggiungono – un tempo speciale anche per aprire una porta, superare un muro, cercando di capire le vite altrui, liberi da pregiudizi, così che ci sia concretamente qualcuno capace di vedere l’uomo oltre il suo errore».

La risposta del vescovo è arrivata immediata. Anche grazie alla quotidianità delle relazioni tra la comunità del penitenziario (come quella del carcere minorile) con la Chiesa di Treviso (e della diocesi di Vittorio Veneto, sempre in provincia). «Ci chiedete di riconoscere la vostra presenza nel cuore delle nostre comunità. Con il vostro appello volete aiutarci a non essere indifferenti, ad assumerci il rischio di vedervi e di ascoltarvi – scrive il vescovo –. Non negate responsabilità e colpe, ci date una testimonianza di percorsi impegnativi e lunghi di presa di coscienza del male commesso, e di assunzione di responsabilità. Si tratta, fin dove possibile, di rimediare al male commesso, di percorrere vie esigenti di riconciliazione, di coinvolgere la comunità intera per ritessere reti di relazioni che possano permettere nuova fiducia. Ci chiedete di dare spazio concreto alla fragilità della condizione umana, di prendervi sul serio come persone, partendo dal vostro impegno a prendere sul serio le persone colpite e ferite da comportamenti sbagliati, da scelte colpevoli».

Parole che sono come ponti tra dentro e fuori la prigione, sostenute dall’impegno del cappellano del carcere, assieme agli altri membri della cappellania, ai volontari di Comunione e liberazione e all’associazione Prima pietra. «Per permettere alle persone detenute di riappropriarsi gradualmente della loro vita c’è la possibilità di permessi, in giornata o per più giorni – spiegano i membri della cappellania del carcere di Treviso –. Per beneficiarne sono necessari luoghi che li accolgano, in particolar modo per chi non ha alcun riferimento esterno al carcere. Per molti esiste lo stesso problema una volta conclusa la detenzione. L’appello, concretamente, è a compiere “gesti giubilari” capaci di far emergere la disponibilità di comunità che possano rispondere a simili esigenze, mettendo a disposizione ambienti e accoglienza, animate dal desiderio di incontro e di dare possibilità a persone detenute o ex-detenute di ripartire».

Il vescovo rassicura, nella sua lettera: «Cerchiamo insieme le ragioni di una speranza quotidiana e troviamo insieme la direzione in cui possano muoversi i nostri passi, per ritessere sempre di nuovo legami di comunità – specifica Tomasi –. In occasione di alcune visite in carcere mi avete aperto il vostro cuore, e mi avete espresso i vostri bisogni, come avete fatto in questa vostra lettera. Voi percepite urgente, allora come ora, la presenza di “luoghi dove poter essere accolti, ascoltati e aiutati in un percorso di un vero reinserimento nella società”».

Nell’Anno giubilare, conclude il presule, «condivido con voi e con la diocesi l’impegno a trovare spazi per venire incontro in modo ordinato e sostenibile a questa necessità. Se riusciremo in questo sforzo, verrà giovamento a tutta la comunità, che vedrà nascere anche dal fallimento e dalla colpa frutti di rigenerazione. La cappellania del carcere e la Caritas diocesana ci aiuteranno a coordinare le disponibilità che nasceranno in diocesi. Sarà, credo, un contributo a diffondere quella pace di Cristo che parte cambiando i cuori e giunge fino a mutare le strutture della nostra vita associata. Sarà un passo importante, frutto della “pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente».

Alessandra Cecchin, direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali di Treviso, ricorda che c’è una finestra che da quattro anni, in diocesi, si cerca di tenere aperta anche grazie a una rubrica, «Condannati a vivere», curata insieme dal settimanale diocesano, “La Vita del popolo”, dalla cappellania del carcere e dalla Caritas. Vi si trova il racconto della vita e dei progetti all’interno sia della Casa circondariale che dell’Istituto penale minorile, dando voce a detenuti, personale, famiglie dei detenuti, volontari. «Sono molteplici le attività che condividiamo – dice Marcello Daniotti della Caritas –. Dalla preparazione alle liturgie alla catechesi, con la cappellania, alle attività di animazione in collaborazione con la Cooperativa “Alternativa” e il volontariato. Sono coinvolti i detenuti, ma anche le loro famiglie. E assieme al vescovo cerchiamo spazi per la post detenzione e il reinserimento».

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