domenica 26 novembre 2023
Così l’arcivescovo di Milano, Delpini, ha definito il camilliano di cui si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione:«Ha compreso che bisogna vivere la Parola di Dio per strada»
Fratel Ettore Boschini con l’abito dei camilliani e tra le mani l’immagine della Madonna

Fratel Ettore Boschini con l’abito dei camilliani e tra le mani l’immagine della Madonna

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Che fratel Ettore Boschini - per tutti ancora semplicemente fratel Ettore a quasi 20 anni dalla morte - sia stato un uomo speciale è noto. E altrettanto lo è la fama popolare di santità che lo circonda e che ha trovato un’ulteriore conferma ufficiale con la chiusura, in tempi definiti molto rapidi, della fase diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione, che si era aperta il 19 dicembre 2017. Dopo nemmeno sei anni, è giunta, infatti, al termine l’inchiesta diocesana sulla vita di questo straordinario gigante della carità, una «pagina di Vangelo vivente», come lo ha chiamato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, presiedendo la solenne celebrazione di chiusura. Significativamente svoltasi, in un clima di emozione e commozione, presso Casa Betania delle Beatitudini di Seveso (Mb) dove ha sede la struttura ormai storica fondata da fratel Ettore che attualmente conta un’accoglienza di 100-150 persone nel dormitorio e 40 posti nella comunità residenziale.

Presenti tanti ospiti, volontari, amici dell’opera, portata oggi avanti da 3 consacrate, la 100ª e ultima sessione del processo ambrosiano, ha visto, accanto al presule, monsignor Ennio Apeciti, delegato arcivescovile per la Causa stessa e responsabile del Servizio diocesano per le cause dei santi, don Marco Gianola, promotore di giustizia, don Simone Lucca, notaio attuario pubblico, don Walter Vinci, postulatore generale dei religiosi camilliani e “portitore” - cioè colui che consegnerà fisicamente già oggi, in Vaticano, gli atti del processo al Dicastero per le cause dei santi - e il provinciale sempre dei camilliani, ordine al quale apparteneva fratel Ettore. In prima fila, anche autorità civili, tra cui i sindaci di Seveso e di Roverbella (Mantova), paese natale del servo di Dio.

L’arcivescovo Delpini in preghiera sulla tomba dei fratel Ettore

L’arcivescovo Delpini in preghiera sulla tomba dei fratel Ettore - Fotogramma

«Come si legge il Vangelo?», questo l’interrogativo con cui l’arcivescovo Delpini ha dato avvio alla sua riflessione, dopo la lettura della pagina di Luca al capitolo 10 con la parabola del Buon Samaritano.

«Si può leggerlo sentendo come un soffio di brezza, di vento che se ne va in fretta, oppure lo si può ascoltare come fosse una spada che trafigge il cuore e l’animo. Ma si può leggere il Vangelo anche come la storia di una persona che si lascia commuovere. Fratel Ettore è stato per noi una pagina di Vangelo, un uomo che, con le scelte che ha fatto, ha compreso che bisogna vivere questa pagina in concreto, per strada, mettendo il proprio tempo a servizio di chi ha bisogno».

Una seconda indicazione è stata legata dall’arcivescovo proprio alla singolarità di fratel Ettore, figura non sempre facile. «Era imprevedibile, talvolta imprudente, avendo dei tratti che lo facevano identificare come una persona forse strana e fuori dalle regole, ma è quel suo essere speciale che ha reso speciali quelli che ha incontrato e possibile imitarlo. Infatti, il suo essere irripetibile, nello spingersi in imprese audaci, ha permesso a moltissime altre persone di sentirsi aiutate a vivere la loro ordinarietà con la sua straordinarietà. Anche nella vita di ogni giorno può abitare l’audacia della carità sulla cui strada egli fu unico, ma imitabile».

Infine, un terzo pensiero. «Fratel Ettore è diventato, dopo la sua morte, un ricordo e un simbolo. Qualcuno chiede dove sia andato ora che non c’è più. È andato dove è sempre stato: nel cuore di Dio. La sua devozione, il suo modo di intendere la consacrazione e la preghiera, dicono che la morte non è un andare altrove irraggiungibile, ma è andare al centro, alla sorgente del bene. Anche nella malattia, nel terminare la vita, nella limitazione delle forze, ha rivelato che abitava in Dio».

Da qui la conclusione e la consegna dell’arcivescovo Delpini. «La santità non è una stranezza, un’estraniazione dall’ordinario, ma è un principio di comunione. Se anche noi andiamo al centro, incontro al Signore, lì viviamo la comunione dei santi, ordinari e straordinari, che ci incoraggiano».

Poi, il secondo momento della celebrazione, più puramente giuridico, con le letture, da parte del notaio, dei verbali dell’ultima sessione e dello “strumento di chiusura”, le firme e appunto, la chiusura, a ceralacca e sigilli, dei plichi che contengono i documenti prodotti in triplice copia, una destinata all’Archivio Storico diocesano di Milano e due per il Dicastero vaticano. Infine, a suggello della celebrazione, la preghiera corale davanti alla tomba di fratel Ettore e un lungo applauso.


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