giovedì 13 maggio 2021
Entrambi di origine africana: salvata la vita a don Jean Michel, gravemente malato. Il ricevente: non credevo possibile un gesto così generoso. Il donatore: sentivo che era giusto farlo
Don Jean Michel e a destra don Eustache

Don Jean Michel e a destra don Eustache - .

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Non c’è dono più grande di chi offre la vita per i propri amici, ma anche donare una parte di sé, un organo vitale, perché l’amico possa tornare a vivere, è veramente un gesto grande di generosità e amore per il prossimo.

È accaduto a Livorno dove don Eustache Ntambwe Makoyo, sacerdote originario della Repubblica del Congo, in Italia per studiare, ha donato uno dei suoi reni ad un confratello sacerdote: don Jean Michel Moukouba Bamana, anche lui africano, nato nella Repubblica Democratica del Congo.


La storia è ambientata a Livorno, mentre il trapianto,
in chirurgia robotica,
è stato realizzato a Modena


Jean Michel, in Italia da molti anni, nell’ultimo periodo ha vissuto in condizioni di salute precarie, i suoi reni ammalati lo costringevano a sottoporsi alla dialisi ogni giorno e l’unica cura possibile era quella di un trapianto. Don Eustache, già sensibile a queste tematiche, si è offerto più volte di donare uno dei suoi reni, ma non era semplice accettare un regalo così grande.

«In questi anni di malattia ho toccato sulla mia pelle la fragilità della vita – racconta Jean Michel – non credevo possibile un gesto così generoso, ma l’insistenza di Eustache è stata grande: si è messo in contatto con i medici di Modena che mi avevano in cura e a settembre ci siamo incontrati per iniziare il percorso. In fondo noi sacerdoti siamo una famiglia: è stato il regalo di un fratello».

L’intervento è stato eseguito con chirurgia robotica in marzo dall’équipe della Chirurgia oncologica, epato-bilio-pancreatica e dei trapianti di fegato, guidata dal professor Fabrizio Di Benedetto, in collaborazione con la Nefrologia e Dialisi dell’AOU di Modena, diretta dal professor Gianni Cappelli, col supporto anestesiologico del team guidato dal professor Massimo Girardis, Direttore di Anestesia I, e di quello psicologico del Servizio psicologia ospedaliera diretto dalla dottoressa Paola Dondi.

Nel corso della valutazione clinica era stata riscontrata un’incompatibilità di gruppo sanguigno che rischiava di compromettere il percorso, ma grazie a una nuova tecnica, praticata in pochissimi centri in Italia, che permette di “ripulire” il sangue del ricevente eliminando da esso gli anticorpi che altrimenti si attiverebbero contro il sangue del donatore, è stato comunque possibile effettuare l’operazione. I due sacerdoti rimasti sotto osservazione per alcune settimane, adesso stanno bene ed hanno ripreso la loro vita di sempre.

«A giugno sarei dovuto rientrare in Africa – rivela don Eustache – ma l’intervento mi costringerà a restare in Italia ancora un anno per sottopormi ai controlli medici. Avrei potuto tirarmi indietro, ma non l’ho fatto perché sentivo che era giusto farlo: la vita di un uomo non ha prezzo».

I vescovi Castellucci e Giusti, i due sacerdoti e l'équipe che ha realizzato l'intervento

I vescovi Castellucci e Giusti, i due sacerdoti e l'équipe che ha realizzato l'intervento - .

«Questo eccezionale intervento chirurgico – ha commentato monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola – è il frutto di un incontro tra diversi doni: la professionalità dei medici specialisti, la perfezione delle tecniche robotiche e soprattutto la generosità di un donatore vivente, che rinuncia ad un organo del suo corpo per dare una vita degna ad un fratello. Il fatto che donatore e ricevente siano due sacerdoti, mette in luce come esista una fraternità che va oltre il legame di sangue e che attinge al legame di fede».

«È significativa anche la nazionalità di questi due uomini – ha aggiunto monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno – in un tempo in cui assistiamo ad una recrudescenza di episodi di razzismo e di emarginazione, l’esempio che ci viene dall’Africa è un segno forte di solidarietà e di fratellanza. Facciamo crescere la cultura del dono e quella della reciprocità!».

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