Poveri per essere più liberi. E per essere degni dei poveri
lunedì 20 novembre 2017

Un motivo ci deve pur essere se lo Spirito Santo in ogni epoca ha suscitato sante e santi che richiamavano la Chiesa, i potenti, l’umanità a non confidare nelle ricchezze, ma ad avere a cuore i poveri. Eppure sembra essere questa un’operazione fallita in partenza perché gli uomini pensano, operano, si danno da fare per raggiungere il risultato opposto. Perché? Ci troviamo di fronte a una pia illusione che partita da Gesù attraversa la storia della Chiesa ottenendo, in fin dei conti, risultati scarsi e contraddittori? Che cos’è mai questa povertà alla quale siamo invitati: una sorta di ideale irraggiungibile che rimane sospeso nei cieli per rovinarci il godimento del benessere? Ogni uomo, lasciato a se stesso, non si accontenta, è incapace di dire basta. È un male?

Potrebbe esserlo ma non è detto che lo sia. Potrebbe esserlo, e di fatto lo diventa, nel momento in cui l’uomo confonde lo stomaco con il cuore; il conto in banca con il desiderio di felicità. Quando confonde la gioia col piacere, la pace interiore col benessere economico, la quantità con la qualità. È allora che inizia a smaniare. E se quelle cose hanno già un legittimo proprietario, tenta di sottrargliele con l’inganno, la scaltrezza, la forza. Sacrifica l’uomo il suo tempo, la sua intelligenza, il suo estro, i suoi talenti a questa faticosa, e in fin dei conti inutile e dannosa, impresa. Un giorno potrebbe accorgersi che donare è più bello che avere, servire è meglio che comandare. Che la gioia promessa da Gesù è vera, esiste, si trova, ma non allo stato puro, bensì nascosta nello sguardo dei fratelli.

Le sante e i santi hanno fatto questa esperienza e, come in preda a una febbre misteriosa, si sono dati da fare per farla conoscere al mondo. Hanno avuto a cuore i poveri di cose e i poveri di spirito, si sono fatti poveri per rimanere accanto ai poveri. Ma perché? Perché i poveri sono ricchi. Di tempo, di senso, di futuro. Perché meglio di chiunque hanno saputo conservare il seme della speranza; perché sanno attingere la gioia dalle piccole cose, sanno dire grazie, vivere insieme. Perché sanno emozionarsi davanti a una goccia di rugiada baciata dal sole convinti che non ha niente da invidiare al brillante incastonato nella corona del re. Perché la certezza di avere un Padre non li disturba affatto ma dona loro conforto, sicurezza. Perché ci insegnano che se divino è il dare divino è anche il ricevere. Perché non sprecano inutilmente le risorse di coloro che verranno dopo di loro.

La Chiesa non è chiamata, non può risolvere i problemi dell’umanità. Deve essere però «sale della terra e luce del mondo». Coscienza critica. Voce importante anche quando sembra gridare inutilmente ai sordi. Chi afferma di aver trovato in Dio il suo Tutto, ha bisogno di poco per vivere sereno. «Quello che non mi serve mi pesa» diceva santa Teresa di Calcutta. Queste parole sono terribilmente vere, una rivoluzione come quelle di Maria di Nazareth nel Magnificat.

Poveri per condividere, poveri per donare, poveri per essere più liberi. Di leggere, pregare, giocare, contemplare. Poveri per fare più ricco, più bello, più fraterno il mondo. Povertà e carità, povertà e libertà, povertà e sguardo limpido. Povertà e consapevolezza di essere davvero poca cosa se una mano dall’alto non ci sorreggesse. Poveri per non avvertire quella esagerata sazietà che sconfina nella nausea e ci impedisce di pensare, correre, volare; di farci prossimo, di godere le bellezze della vita. Poveri per essere degni dei poveri, per donare a loro, ricevere da loro. Poveri per godere in pienezza il dono immenso della vita. Poveri sempre bisognosi di incontrare Dio, nell’attesa di goderlo nell’eternità.

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