sabato 19 dicembre 2020
L’esperienza di frontiera di una presenza spirituale e di conforto negli ospedali, a cominciare dai reparti di isolamento La scelta della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla
La presenza dei sacerdoti nei reparti Covid è un’esperienza di frontiera che si sta sperimentando in alcune diocesi italiane

La presenza dei sacerdoti nei reparti Covid è un’esperienza di frontiera che si sta sperimentando in alcune diocesi italiane - Epa

COMMENTA E CONDIVIDI

Reggio Emilia Ricorda la Chiesa «ospedale da campo» di papa Francesco, oltre che l’icona evangelica del Buon Samaritano, la scelta della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla di entrare attraverso propri sacerdoti nei reparti Covid per portare il conforto dei sacramenti e una parola di speranza. Il servizio di un primo gruppo di volontari è già iniziato: sei preti si rendono presenti negli ospedali di Reggio Emilia, Guastalla e Scandiano 6 giorni su 7, con turni dalle 13 alle 20, nella più rigorosa osservanza dei controlli a cui essi per primi si sottopongono e nel rispetto della libertà di coscienza dei pazienti.

Un segno di consolazione divenuto concreto grazie a una convenzione firmata dal direttore generale dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia, Cristina Marchesi, e dal vescovo Massimo Camisasca. «È stata ed è per me una priorità in questo tempo di coronavirus durante sia la prima sia la seconda ondata della pandemia, assicurare la presenza di sacerdoti all’interno degli ospedali», afferma Camisasca. E aggiunge: «Garantire la vicinanza di un prete a chi è gravemente malato o sta morendo è la più alta forma di carità che la Chiesa possa esprimere. Accompagnare chi muore è il dono più importante che possiamo fare ai nostri fratelli.

Non c’è infatti solitudine più grande di quella della morte. La presenza del sacerdote alimenta la speranza che l’incontro con Dio sia un incontro vitale, rappresenti l’inizio di una nuova vita». L’idea iniziale, maturata anche grazie alla testimonianza di don Alberto Debbi, pneumologo tuttora operante a chiamata presso l’ospedale di Sassuolo, ha subito incontrato l’appoggio dei vertici dell’azienda sanitaria. Sono seguite, da parte della Chiesa locale, le richieste di disponibilità ai sacerdoti, individuando come potenzialmente idonei quelli di età inferiore ai 60 anni. Diciotto i presbiteri che hanno risposto all’appello e accettato di intraprendere un cammino di formazione online, che sta già interessando un secondo gruppo di preti per il periodo dal 1° al 24 gennaio. Insieme ai loro, partecipano agli incontri preparatori sia i dipendenti dell’azienda sanitaria, che ne curano l’addestramento, sia membri di un’équipe diocesana, che offre un percorso di sostegno.

«Attraverso questi giovani sacerdoti tutta la nostra Chiesa si fa presente e condivide con chi soffre un’esperienza di malattia che speriamo possa concludersi tra pochi mesi con la somministrazione del vaccino», commenta Lucia Ianett, direttore del Servizio per la pastorale della salute. «Offrire un supporto psicologico e spirituale – sottolinea monsignor Alberto Nicelli, vicario generale – può costituire un sollievo in primo luogo per i malati; la presenza dei sacerdoti dà poi sostegno alla loro comunicazione, attraverso telefoni e tablet, con i familiari lontani; rappresenta altresì un aiuto al personale medicosanitario, affaticato e spesso provato in prima persona dal virus».

Azienda sanitaria e diocesi hanno condiviso la consapevolezza che l’assistenza spirituale può essere in tantissimi casi un “quid” che si aggiunge alle competenze scientifiche e all’azione terapeutica. E il presbiterio locale ha dimostrato una spiccata sensibilità: oltre ai sacerdoti che hanno deciso di andare in prima linea, infatti, molti altri – di età più avanzata – si sono offerti per sostituire nelle attività in parrocchia i confratelli impegnati nei turni ospedalieri e per raccogliere dai parenti dei ricoverati le segnalazioni delle visite da effettuare.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: