martedì 5 gennaio 2021
Classe 1930, il primo gennaio è morto uno dei più grandi conoscitori del "fratello universale". Per 60 anni la sua vita è stata nel deserto algerino fra Tamanrasset e l’Assekrem, sulle orme del beato
Antoine Chatelard

Antoine Chatelard - .

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Era figlio di un panettiere. Fare il pane, spezzarlo, condividerlo sono stati i gesti - reali e simbolici - che lo hanno accompagnato nei sessant’anni che fratel Antoine Chatelard ha vissuto nel deserto algerino fra Tamanrasset e l’Assekrem. Sempre sulle orme di Charles de Foucauld, a cui ha dedicato sino all’ultimo un lavoro paziente e indefesso di ricerca e di scrittura, che lo hanno reso noto anche in Italia. Un’opera monumentale che lo ha reso noto anche in Italia, soprattutto grazie ad alcune traduzioni come il volume “Verso Tamanrasset” pubblicato della edizioni Qiqajon della Comunità di Bose.

Chatelard, piccolo fratello di Gesù, francese classe 1930, era uno dei più grandi conoscitori del “fratello universale”. E stava proprio lavorando a un nuovo scritto quando il Covid-19 lo ha portato via in pochi giorni a Marsiglia, dove era tornato nel 2016. È morto il primo di gennaio, riuscendo appena ad affacciarsi sulla soglia di quest’anno che vedrà de Foucauld proclamato santo. Per la piccola Chiesa d’Algeria, ma anche per tutta la Chiesa universale, si tratta di un’altra gravissima perdita dopo quella di monsignor Henri Teissier, arcivescovo emerito di Algeri, scomparso esattamente un mese prima.

Si conoscevano bene i due, anche se hanno vissuto agli estremi opposti dell’immenso territorio algerino. Chatelard è stato un uomo del Sud, del deserto, che ha legato strettamente la sua vita a quella di de Foucauld. C’è un’intimità spirituale straordinaria tra i due. E uno straordinario senso di fraternità. Negli stessi luoghi in cui visse e morì de Foucauld, anche fratel Antoien ha lasciato tracce profonde e un ricordo indelebile. E non solo tra i pochissimi cristiani che ancora resistono in quella terra di confine, ma anche e soprattutto tra le gente del posto.

Fratel Antoine era stato il primo a tornare all’Assekrem nel 1955, per ridare vita all’eremitaggio in cui frère Charles si era ritirato per alcuni mesi nel 1911. Un luogo altamente simbolico e magnificamente proteso verso il cielo, dove ancora oggi continua una presenza discreta, ma carica di significato, dei piccoli fratelli.

Antoine non si è mai allontanato molto da lì. Dopo alcuni anni, era sceso a Tamanrasset, che all’epoca era un grande villaggio, di cui è stato il curato e, in qualche modo, il “notabile", in quanto «uno degli uomini più vecchi della città!», si scherniva. Di Tamanrasset è stato a lungo anche il panettiere. Conosceva tutti e tutti lo conoscevano. Era un punto di riferimento. «Esser qui da sessant’anni – ci diceva – vorrà pur dire qualcosa! Si conosce la storia e la gente». Sapeva anche che la presenza della Chiesa in quella terra era molto speciale, ma anche molto “fragile”. Lo diceva quasi con sofferenza, mentre le piccole sorelle stavano per lasciare per sempre quei luoghi che erano così impregnati della loro testimonianza. «Piccola sorella Hayat – ricordava fratel Antoine – ha fatto nascere una buona parte della popolazione di qui». Per dire il senso di appartenenza viscerale - e reciproca - che legava i pochissimi cristiani quel popolo.

«Il nostro essere qui – spiegava – non si giustifica per quanti siamo o per le cose che facciamo. Si gioca piuttosto sulla testimonianza. Il senso è quello dell’“essere-con”: con l’altro, con il diverso, introducendo una differenza che può solo arricchirci mutualmente». Allo stesso modo intendeva il dialogo islamo-cristiano «vissuto nella relazione quotidiana e nell’incontro». E anche in questo, fratel Antoine si rifaceva spesso alle parole e alla spiritualità di Charles de Foucauld: «La nostra missione – diceva – è di parlare di lui e, soprattutto, di continuare a farlo parlare».

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