martedì 29 dicembre 2015
Parla il teologo Marco Vergottini, curatore del volume: anche il ricordo di Bergoglio sul cardinale
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Un pastore, una guida, un riferimento, un amico, per qualcuno una presenza scomoda. Sono tanti i modi di raccontare il cardinale Carlo Maria Martini. Immagini, riflessioni, che compaiono, in modo per ciascuno differente, nelle centoundici testimonianze che compongono la nuova edizione della raccolta Martini e noi (pagine 376; euro 17.50) edita da Piemme e curata dal teologo Marco Vergottini. Un mosaico di ritratti inediti che si legge come un romanzo, ricco di risvolti a volte conosciuti, più spesso inconsueti, del porporato, per 22 anni arcivescovo di Milano (la nomina esattamente 36 anni fa, il 29 dicembre 1979), sicuramente uno dei grandi protagonisti del Novecento. 

 Tra gli autori cinque cardinali, il patriarca ecumenico Bartolomeo I, note personalità del mondo ecclesiastico e laico, giuristi ed economisti, filosofi e giornalisti, stretti collaboratori di Martini e firme provenienti da mondi apparente distanti. Ci sono Enzo Bianchi e Massimo Cacciari, Bruno Forte e Gustavo Zagrebelsky, padre GianPaolo Salvini e Romano Prodi, Paolo Ricca e Giovanni Bazoli, Gianfranco Ravasi, Gad Lerner e tanti altri. Tutti chiamati a raccontare il loro “cardinale” a partire da un incipit tratto dagli scritti di Martini stesso. Vera novità della seconda edizione è però il ricordo personale di papa Francesco. Un testo breve ma denso di significato in cui Bergoglio sottolinea il ruolo svolto da Martini negli anni ’70 come «uomo di dialogo» tra la Compagnia di Gesù e il Papa, come pastore capace di «affrontare con amore anche le avversità, le contrarietà, le incomprensioni ». Il Papa – spiega Vergottini – «richiama un episodio che risale a metà anni ’70, quando in un momento di tensione fra il papa bianco (Paolo VI) e il papa nero (padre Arrupe), il giovane professore del Pontificio Istituto Biblico, riuscì a “intercedere” e a ricomporre l’intesa fra i due che Bergoglio non esita a definire “santi”. Nella sua spiritualità – aggiunge il curatore del volume – Martini prediligeva la pratica dell’intercessione come esercizio per invocare e far prevalere le ragioni della pace, della riconciliazione e del dialogo». Il Papa ammette di avere frequentato poco Martini, di cui però ricorda l’amabilità e le gentilezza. Ma c’è tra i due un legame, un filo rosso, un modo comune di sentire? Ad accomunare Martini e Bergoglio, oltre all’appartenenza alla Compagnia di Gesù, sono da rimarcare la comune fedeltà all’eredità conciliare, con una spiccata propensione a recepire la lezione della familiarità con la Scrittura, uno stile sinodale di Chiesa, una lettura delle tracce di Dio che opera nella storia dell’umanità. La differenza fra i due è da rinvenire sul fronte del temperamento, l’uno portato alla mediazione e a un discernimento critico del reale, l’altro contraddistinto da una esuberante immediatezza e da una straordinaria capacità di coinvolgimento dell’interlocutore. Alla “eloquenza della Parola” che in Martini si configurava maieuticamente come scavo nel Testo sacro e come interrogazione degli stati emozionali della coscienza, in Bergoglio si registra una “eloquenza dei gesti”, con un una narrazione ricca di immagini e capace di evocare una conversione della vita. Nondimeno, quante felici assonanze si riscontrano tra la Chiesa “sognata” dal cardinale e la Chiesa “in uscita” di papa Francesco. Nella rassegna da lei curata, ciascuno degli autori ha voluto raccontare il proprio Martini. Ne sono emersi anche dei particolari per certi versi inediti. La raccolta si presenta come un testo di forte impronta soggettiva, perché ogni autore ha inteso raccontare il “mio Martini” e le relazioni con il cardinale sono le più disparate. Alcuni possono testimoniare una familiarità quotidiana o una lunga collaborazione diocesana, altri raccontano un rapporto segnato da alcuni coinvolgenti incontri, altri infine hanno conosciuto Martini dalla confidenza con i suoi scritti. Scorrendo gli oltre cento testi traspare quella che il cardinale una volta ebbe a definire una “fornace di emozioni”. Perché l’intentio operisnon è stata quello di tracciare un’agiografia, quanto di continuare empaticamente a tener vivo il colloquio con lui e insieme di onorare la sua eredità di pensieri e parole. E il suo rapporto con Martini qual è stato? Per diciotto lunghi anni ho ricoperto la carica di segretario del Consiglio pastorale ambrosiano e questo mi ha consentito di avere numerose occasioni di avere colloqui con lui, che spaziavano dalle ragioni di ufficio, ma poi via via si aprivano su argomenti quali la mia vita familiare e professionale, l’attualità ecclesiale e la produzione teologica, fino a scambiarci opinioni sulla letteratura e sulle letture che ci appassionavano. Negli anni in cui Martini si trasferì a Gallarate poi il nostro rapporto di amicizia si intensificò, andavo a trovarlo circa ogni venti giorni e discorrevamo del suo stato di salute, dei nostri rispettivi progetti editoriali; inoltre, mi preoccupavo di portargli in visita personalità del mondo ecclesiale e laico che desideravano incontrarlo, per quanto la malattia invalidante lo consentisse. Qual è il tributo più grande che la Chiesa italiana e la società civile debbono al cardinale arcivescovo di Milano? Troppo facile sarebbe rispondere che Martini, come nessun altro, ha rilanciato nel dopo-Concilio il primato della Parola, oppure ricordare come egli abbia cercato di promuovere una elaborazione culturale aperta al confronto con gli altri, con il diverso, con persone travolte dalle piaghe sociali del nostro tempo. Vorrei richiamare dal mio osservatorio - la lezione pastorale dell’arcivescovo Martini. Egli riteneva che lungi dall’essere una serie di attività pratico-organizzative, la pastorale fosse il “farsi” della Chiesa, la decisione responsabile e creativa di obbedire alla missione del Vangelo, fissando priorità, obiettivi e forme concrete del suo esercizio. In secondo luogo, Martini ci ha sollecitati da cardinale a “rifuggire la logica del successo ad ogni costo”. La comunità cristiana sa che la forza dell’annuncio non proviene dalla sua abilità o dai suoi successi, sa di dover confidare invece nell’azione dello Spirito, i cui tratti sono la mitezza, la pazienza, la persuasione, l’amore che non prevarica sulla libertà altrui. Di recente Milano ha deciso di intitolargli via dell’Arcivescovado. Una scelta suggestiva e estremamente significativa… Una scelta felice e simbolica. Via Cardinal Martini collegherà piazza Fontana, luogo emblematico di una tragica ferita della città di Milano, con piazza Duomo, che ospita la Cattedrale, dove Martini con la sua predicazione ci ha fatto gustare la speranza del Vangelo e coltivare il sogno di una Chiesa che prenda come modello la Chiesa degli apostoli. Ma a suo modo di vedere che cosa resta di più vivo dell’eredità di Martini? Nel mio cuore restano impressi due riferimenti delle fonti cristiane che Martini ha fatto sue: il motto da lui scelto di Gregorio Magno: Pro veritate adversa diligere e la citazione biblica che è posta sulla sua tomba “Lampada per i miei passi è la Tua parola e luce sul mio cammino”.

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