venerdì 4 marzo 2022
Il presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo: la sfida è sempre quella di disarmare l’offensore più che di armare l’offeso, anche quando occorre sostenere il diritto alla difesa
Salvatore Martinez

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Preghiera e carità concreta. L’invocazione al Dio della pace e la presa in carico di chi è costretto alla fuga da una guerra sempre più violenta. Queste le due direttrici, ma a ben vedere l’una si unisce strettamente all’altra, che stanno orientando l’azione del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) in giorni tragicamente bui e complessi.

Fari puntati in particolare su Chisinau, in Moldavia, piccola terra di riparo dai venti dell’odio e della violenza. Qui, dove il RnS è presente dal 2002 con una sua missione, sta trovando accoglienza un gruppo di venti rifugiati. «Sono bambini e madri ucraine, che hanno oltrepassato il confine moldavo senza i loro mariti, rimasti al fronte a combattere – spiega Salvatore Martinez presidente nazionale del Rinnovamento, già rappresentante personale della presidenza italiana in esercizio Osce 2018 con delega alla “Lotta al razzismo, xenofobia e discriminazione”–. In genere, ogni quattro, cinque gruppi familiari è presente un uomo, una sorta di custode dei nuclei mancanti della presenza maschile. Abbiamo visto emigrare verso Chisinau persone di ogni età ed etnia, la maggior parte delle quali si considera in transito verso altri Paesi dell’Unione Europea. E del resto, chi, lasciando per necessità la propria terra, migra per risiedere in un Paese più povero di quello da cui è partito? Non dimentichiamo che la Moldavia è la Repubblica più povera dell’Europa continentale. Pertanto, la speranza è che le famiglie che stiamo accogliendo possano fare ritorno in Ucraina».

Come si diceva, siete presenti in Moldavia da vent’anni. Normalmente, se di normalità si può parlare, in cosa consiste il vostro servizio?
Fu san Giovanni Paolo II a chiederci di farci missionari in Moldova. Prima del crollo del muro di Berlino e della scomposizione della Federazione Russa, non esisteva la Chiesa cattolica nel territorio poi divenuto Repubblica di Moldavia. Dal 14 marzo del 2002 siamo a Chisinau e poi in altre 4 città del Paese, inclusa la dimenticata Transnistria, per aiutare nella plantatio ecclesiae. Abbiamo promosso attività di formazione spirituale e di evangelizzazione a vantaggio di tutta la comunità ecclesiale nazionale, con particolare attenzione al clero e alle famiglie. Non dimentichiamo che i cattolici nel Paese sono lo 0,5% di una popolazione che rimane di tradizione ortodossa. Dunque, lavoriamo a livello ecumenico da sempre, con progetti di “adozione spirituale e materiale” delle tante povertà ancora esistenti. Con il governo, abbiamo realizzato protocolli universitari e sanitari rivolti alla cura dei bambini, in special modo di quelli disabili mentali, ultimi tra gli ultimi.

All’interno del mondo cattolico italiano sono ore di profondo dibattito. Il via libera del Parlamento all’invio di armi e mezzi militari in Ucraina, interroga e divide, evidenziando che, se l’obiettivo della pace è comune a tutti, risultano diversi i modi considerati necessari per raggiungerlo. Lei come si pone?
Da giovane sono stato obiettore di coscienza, rifiutando la leva militare in luogo del servizio civile. Non ritengo che si possa risolvere un conflitto alimentandolo. Le armi non hanno mai generato pace e nessuna pace armata ha mai risolto il destino di un popolo. La sfida storica è sempre una e la stessa: riuscire a disarmare l’offensore più che armare l’offeso, anche quando occorre riconoscere e sostenere il diritto alla difesa di un Paese oggettivamente destinato a soccombere. In realtà, quasi sempre si ricorre al sostegno militare quando la diplomazia scarseggia o fallisce. La mia impressione è che non si sia creduto, da subito e senza mai smettere, nel potere del dialogo, della mediazione e dell’amicizia tra popoli e governanti. E, del resto, si raccoglie sempre ciò che si semina. Sono stato rappresentante speciale del nostro Paese per i diritti umani in Osce nell’anno di presidenza Italiana, e ho avuto modo di constatare come, in Europa e negli Usa, non si siano mai veramente e sinceramente ascoltate le ragioni delle parti oggi in conflitto, disattendendo una vicenda atavica e dolorosa che ora esplode in tutta la sua complessità sotto i nostri occhi, colpevoli di essere rimasti socchiusi.

Allora, in momento come questo, cosa si deve fare innanzitutto per realizzare la pace?
Stiamo parlando di un conflitto nel cuore dell’Europa, crocevia di culture che hanno trovato nel Vangelo e nell’umanesimo cristiano la loro originalità identitaria e la sola possibilità di esperimentare unità nella complessità. I credenti e i cittadini dell’Occidente hanno, nella preghiera e nella prossimità verso chi soffre ingiustizia, la loro più potente forza espressiva: non può mai mancare, non deve mancare proprio ora.

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