venerdì 3 gennaio 2014
In Malaysia, la polemica sull’uso del nome “Allah” per indicare Dio nei testi cristiani in lingua malese si riaccende, come pure l’opposizione alla sua proibizione sui mass media stabilita tempo fa dalla Corte Suprema.
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In Malaysia, la polemica sull’uso del nome “Allah” per indicare Dio nei testi cristiani in lingua malese si riaccende, come pure l’opposizione alla sua proibizione sui mass media stabilita tempo fa dalla Corte Suprema. Le autorità addette alla tutela della fede islamica - riferisce la Misna - hanno sequestrato centinaia di Bibbie in possesso di un gruppo cristiano e hanno fermato due dei suoi responsabili. Il provvedimento, come temuto, riguarda una lettura radicale della decisione dei giudici, che avevano sentenziato la proibizione dell’uso di “Allah” da parte del settimanale cattolico diocesano di Kuala Lumpur e limitatamente alla sua edizione in lingua malese. Un verdetto accolto con soddisfazione negli ambienti islamisti e interpretato come vincolante per qualunque pubblicazione non islamica, incluse le versioni in lingua malese della Bibbia. Una interpretazione restrittiva che era stata smentita dal premier Najib Razak. dopo il pronuciamento di ottobre. Razak aveva allora rassicurato i cristiani e le altre minoranze che il verdetto non avrebbe toccato diritti e abitudini consolidati non in contrasto con la sensibilità islamica del Paese. La decisione dei funzionari del Ministero per gli Affari religiosi di sequestrare 300 copie della Bibbia pubblicate dalla Società biblica malese nello stato di Selangor, nelle vicinanze della capitale, riaccende timori di ulteriori iniziative di sapore persecutorio verso le fedi
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