Il volontario del Venezuela «Così ho raccontato il Giubileo alla mia gente sotto la dittatura»
di Agnese Palmucci, Roma
Per José Arnaldo Mujica, questi mesi al servizio dei pellegrini «sono stati un dono di Dio». Con i suoi contenuti ha tenuto informati i connazionali, ma ora, tornando a casa, teme ritorsioni

Quella notte così fredda, fuori dalle grandi porte della Basilica di San Pietro, non la dimenticherà mai. Davanti a lui la fila ininterrotta dei pellegrini che, un passo dopo l’altro,in silenzio, entravano per pregare davanti alla salma di papa Francesco. Accanto a questo ricordo, per Josè Arnaldo Mujica, volontario del Giubileo e giornalista professionista dal Venezuela, c’è quello del volto commosso di Prevost, apparso per la prima volta a maggio scorso nella Loggia delle Benedizioni, che ha raccontato in diretta per alcune televisioni del sud America. «È stato un anno di grazia, semplicemente incredibile», racconta commosso il giovane di 36 anni, originario della città di Barquisimeto, nel nord del Paese. «Ho deciso di fare volontariato per l’Anno Santo perché avevo bisogno di fermarmi un momento nella mia vita. - dice con voce profonda - Era tempo di prendere le distanze dalla situazione politica del mio Paese». È sempre molto allegro e solare José, influencer da 54mila followers su Instagram, ma quando parla della repressione del regime di Nicolás Maduro si fa sempre serio. «A causa del mio impegno sociale mi sentivo in pericolo e vedevo che la mia vita stava entando in un limbo. Così ho deciso di donare un intero anno a Gesù, e il risultato è stato straordinario». Per lui e per tutti gli altri 10mila volontari, che durante il Giubile hanno prestato servizio, per poche settimane o per un anno intero come José, i giorni sono trascorsi intensamente, tra la casa dei volontari,i turni su strada, le celebrazioni in Basilica e nuove amicizie. «Fin da piccolo la mia fede mi ha aiutato a superare molti ostacoli - racconta sotto i suoi grandi occhiali neri-. Certamente, però,la mia generazione in Venezuela si è trovata a crescere in un regime totalitario. Se non avessi creduto in Dio non sarei riuscito a superare tutto quello che ho vissuto».
Parla dei suoi anni di lavoro e lotta per la democrazia, tra la Colombia e il Venezuela, prima a Bogotà nello staff di comunicazione dell’opposizione a Maduro, e poi a Caracas, dove nel luglio del 2024 ha coperto per i media locali le ultime elezioni presidenziali e le manifestazioni di piazza che hanno seguito l’«autoproclamazione» a presidente del sindacalista venezuelano. «Il giorno dopo l’annuncio dei risultati ero in plaza Francia di Altamira, nella capitale, per documentare le proteste del popolo che aveva indicato come vincitore delle elezioni Edmundo González Urrutia, candidato centrista democraticamente eletto - spiega il giovane, che ha raccontato anche le grandi difficoltà dei cattolici che vivono in Venezuela oggi -. Stavamo lavorando normalmente quando, a un certo punto, sono arrivati tank militari sorprendendo tutti i giornalisti e i cittadini che manifestavano contro il regime». Josè ricorda quelle ore drammatiche, in cui è rimasto nascosto per circa un’ora e mezza in una panetteria della zona dove si era rifugiato per sfuggire alla rappresaglia. «Dopo quell’episodio,sono stato costretto a rimanere chiuso per diversi giorni in un appartamento della città per timore di ritorsioni».
José ogni giorno pubblica sulla sua pagina social reel per raccontare ai suoi connazionali gli eventi del Giubileo, ma anche le notizie più importanti dal Vaticano. «Da quanto sono a Roma è aumentato di molto il numero delle persone che mi seguono dal Venezuela. Da molti anni i social network svolgono un ruolo fondamentale nel Paese, perché rappresentano l’unica fonte di informazione “libera” per il cittadino comune. - prosegue Josè, che recentemente è volato a Oslo per documentare il conferimento del Premio Nobel per la Pace alla politica venezuelana anti regime, María Corina Machado - Di conseguenza, noi giornalisti che pubblichiamo contenuti nelle diverse piattaforme siamo più esposti, perché portiamo l’informazione all’interno di un Paese chiuso a chiave e anticlericale». Proprio per la sua dedizione al bene comune, il giornalista ha avuto l’opportunità di incontare papa Leone XIV, dopo l’udienza generale di mercoledì scorso. «Non avrei mai immaginato che potesse accadere proprio a me, - dice - i miei familiari in Venezuela erano emozionatissimi. Non ho parole per quello che Dio mi ha regalato in questo Giubileo, solo per essermi messo al servizio». Ora però teme per la sua incolumità, perché a fine Anno Santo, il 7 gennaio prossimo, dovrebbe tornare in Venezuela. «In alcuni servizi da qui ho raccontato la situazione che vive il Paese e la pressione esercitata dagli Stati Uniti, perciò provo paura all’idea di tornare - confessa -. I giornalisti venezuelani camminano su una linea molto sottile, rischiando la propria sicurezza ogni giorno, e per questo sto pensando di chiedere l’asilo politico qui». Dall’altro lato, però, il suo sogno di giornalista cattolico è di essere in Venezuela quando cadrà la dittatura, e di poter dare in diretta «la grande notizia» che il Paese è «finalmente libero». Stasera insieme agli altri volontari Josè parteciperà alla Messa della notte di Natale con papa Leone XIV in Basilica. Per il futuro si affida a Dio, vuole godersi ancora «ogni attimo» di questi giorni indimenticabili.
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