mercoledì 12 febbraio 2014
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Tutte le mattine entra nel reparto di cure palliative dell’ospedale di Livorno con l’abito blu delle Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli. Consacrata e medico primario di un hospice pubblico. Suor Costanza Galli ha 42 anni, è originaria dell’isola d’Elba e dal 2009 guida l’unità operativa che ogni giorno assiste settanta pazienti: dai degenti ricoverati nel presidio a quelli che possono contare sull’assistenza domiciliare. La religiosa, però, non usa mai il vocabolo «pazienti». Li chiama più semplicemente «malati». In gran parte, terminali. «Di fronte a loro la carità che il Papa indica nel tema della Giornata è sinonimo di ministero della consolazione – racconta –. Occorre far sentire a chi è in un hospice che non soffre da solo e che non muore da solo. La vera sfida è l’accompagnamento, che vuol dire stare accanto ai malati e alle famiglie nei frangenti più duri della prova, nei silenzi, nelle lacrime». Un po’ come il Buon Samaritano cui fa riferimento Bergoglio nel messaggio. «Se come operatori sanitari vogliamo declinare nel quotidiano questa icona biblica – afferma suor Galli – c’è bisogno di coltivare la nostra vita spirituale. Se custodiamo l’anima, sarà possibile portare fra le corsie quanto di meglio abbiamo. Se, invece, ci fermiamo alla cifra materiale, avremo poche risorse per aiutare i fratelli a sostenere la loro croce». Già, la croce che per il credente rimanda al dono totale di Cristo. «Per parlare di Risurrezione e speranza, serve essere convinti che la sofferenza non è inutile. Tutto si gioca qui: il malato riscatta il proprio dolore quando riesce a dargli un senso. Certo, si raggiunge la vetta quando si comprende che chi è in un reparto come il nostro sta partecipando alla sofferenza di Cristo per la salvezza del mondo. Ma è un salto di qualità che non riesce a tutti». Nei protocolli sulle cure palliative si fa riferimento all’assistenza spirituale. «Ciò significa vicinanza nel momento in cui la persona si pone le domande ultime sull’esistenza. Oggi si punta all’efficientismo fisico. Così succede che in ospedale l’uomo contemporaneo si senta smarrito come un bambino». Forse perché la società ha messo ai margini la sofferenza. «Per questo, come cristiani, siamo chiamati a una battaglia culturale. Ormai prevale l’illusione che la malattia sia solo un incidente di percorso. Lo stesso accade per la morte che è stata bandita dall’orizzonte antropologico». La chiamata alla vita consacrata arriva per suor Galli l’anno successivo all’assunzione alla Asl e dopo la specializzazione in oncologia e un master a Milano. «Avvertivo l’esigenza di una svolta. L’ho trovata nel carisma di san Vincenzo de’ Paoli che invita all’amore per i poveri. E chi più di un malato che si avvicina alla morte può essere considerato povero?». La sua bussola è la pagina del Vangelo che narra la lavanda dei piedi. «Ecco – conclude la religiosa –, quando mi chino su un malato, riconosco in lui il volto del Signore. E vedo Cristo che lo abbraccia nella sua infinita tenerezza».
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