sabato 15 aprile 2017
Il mariologo Maggioni: in piedi sotto la croce testimonia la virtù del coraggio. I Vangeli presentano la Madre sul Golgota. «Nell’angoscia di quel giorno non c’è rassegnazione ma lei scorge la vita»
La Vergine, «icona» del Sabato Santo
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Stabat Mater. La celebre preghiera – o meglio sequenza – che la tradizione vuole sia da attribuire a Jacopone da Todi è come un’icona di Maria ai piedi della croce. Proclamata da settecento anni fra le navate delle chiese, messa in musica da compositori geniali, racconta in versi ciò che i Vangeli narrano: la Vergine vede «il suo dolce Figlio che moriva, abbandonato da tutti», si legge nel testo. Ma lei «non diserta», scrive la biblista francese Anne-Marie Pelletier nelle meditazioni per la Via Crucis di ieri sera al Colosseo. «Il ritratto evangelico di Maria ce la presenta ritta “in piedi” presso la croce, resistente alla spada che le trapassa il cuore», spiega il monfortano padre Corrado Maggioni. Sottosegretario alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti – nomina voluta da Francesco –, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum e al Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo di Roma, è direttore del Centro mariano monfortano. E alla Madonna ha dedicato numerose pubblicazioni. Quando parla della Madre di Dio sul Golgota, la descrive «ferita sì, ma non piegata in due».

E aggiunge: «Il suo non è solo il dolore di una madre che vede ammazzare il Figlio, ma il travaglio che associa alla redenzione del mondo operata da quel Figlio, che ha bisogno di partecipazione attiva e non di rassegnazione passiva. Non è il lamento, ma il coraggio la virtù della Madre sotto la croce. La sostiene l’adesione libera e risoluta al Mistero che le ha attraversato l’anima e il corpo per fare nuove tutte le cose». Per questo, sottolinea il religioso, «Maria è la donna del Sabato Santo» in quanto «nell’angoscia di quel giorno scorge venire alla luce la vita che non muore». Accanto a Maria c’è anche Giovanni, il discepolo che il Signore «amava».

E dalla croce Gesù dice alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». E al discepolo: «Ecco la tua madre». «Queste parole – afferma padre Maggioni – rappresentano il testamento di Cristo. Mostrano la vocazione che Maria e i discepoli ricevono nell’ora suprema da Gesù stesso. Prima di spirare, egli chiama la “donna” che lo ha generato a diventare madre dei suoi discepoli, amando Lui in loro. E nel discepolo amato chiama tutti i discepoli, di ogni tempo e luogo, a diventare eredi del suo amore verso la Madre sua». E il docente prosegue: «È impossibile per noi vivere in Cristo, obbedienti al suo volere, senza accogliere Maria nella nostra esistenza, senza imparare da lei a praticare il Vangelo. Non è infatti facoltativo per il cristiano coltivare un vincolo filiale con la Madre del Signore, certi di poter contare in ogni caso sul suo amore materno, che ha l’unico scopo di conformarci al suo Figlio». Ciò che colpisce è il silenzio della Vergine di fronte al dramma che si compie. Come in molti altri momenti, serba tutto nel suo cuore.

«Ciò mostra la resa incondizionata davanti a ciò che esce dalla bocca di Dio – sottolinea il religioso della Compagnia di Maria fondata dal sacerdote d’Oltralpe Louis-Marie Grignion de Montfort –. Nella rinuncia a dire parole proprie, silenziando ogni pretesa spiegazione dettata dalla carne, può trovare ancora e sempre corpo il Verbo divino che viene ad abitare tra noi, dentro di noi, lì dove trova spazio di sincera accoglienza ». Poi una suggestione. «Mi piace pensare che nel silenzio del Sabato Santo la Vergine Madre fa memoria di quando, con turbamento, si domandò com’era possibile concepire l’inconcepibile. “Nulla è impossibile a Dio”, le rispose l’Angelo. Lei sa per esperienza che la possibilità divina opera lì dove trova un’impossibilità umana confessata. Questa è la fede. Affidarsi a Dio quando non ci sono motivi ragionevoli per fidarsi di lui. Questa è la silente fede di Maria nell’ora dell’Annunciazione come nel Sabato Santo».

È possibile immaginare che la Madonna pianga mentre i soldati si dividono la tunica, quando Gesù china il capo e spira, nei momenti in cui il Signore morto viene deposto. «Se Gesù pianse per la morte di Lazzaro, come per la rovina di Gerusalemme, perché non pensare che anche Maria abbia pianto? – si domanda il mariologo –. Le sue lacrime ci insegnano a non rifiutare il dolore ma ad attraversarlo con coraggio, sapendo che non è l’ultima parola. Si può andare avanti anche con gli occhi velati di lacrime, trascinandosi a fatica un passo dopo l’altro, aggrappati a un filo di speranza che solo la preghiera impedisce di rompersi». Da qui l’invito. «Guardiamo alle lacrime di Maria per imparare a soffrire con lei, sapendo che il Sole senza tramonto, vincitore sulla corruzione del sepolcro, asciugherà ogni lacrima».

La Madonna è anche “Madre di pietà”. Lo testimoniano, ad esempio, opere d’arte che toccano nel profondo l’animo, come la celebre Pietàdi Michelangelo nella Basilica Vaticana. «Stringendo tra le braccia il Figlio esanime – osserva padre Maggioni –, è Maria stessa in verità a stringersi a quel corpo martoriato. E così abbraccia tutte le sofferenze di cui quel corpo è “sacramento”, ossia reale presenza, avendo Gesù preso su di sé tutti i nostri dolori e le nostre colpe. Non c’è solo il dolore fisico, ma anche quello morale, quello che altri ci infliggono o che noi ci facciamo a causa del nostro egoismo. Nessuna ferita umana è estranea al Cristo e, dunque, neppure a sua Madre. Lo sa bene il popolo cristiano che ha coniato per Maria una litania di titoli che la invocano conso-latrice, salute dei malati, rifugio dei miseri, sicura speranza, difesa nell’ora della prova».

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