martedì 29 marzo 2016
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La luce della Risurrezione illumina i drammi, le sofferenze, i problemi, i disagi e le difficoltà che l’umanità del nostro tempo deve affrontare. È questo il messaggio che è giunto dai vescovi italiani nelle loro omelie per la Veglia pasquale e la Messa di Pasqua. Nelle loro riflessioni anche i riferimenti al terrorismo, all’esodo di migranti, alle povertà, alla famiglia. BAGNASCO: NEI SEMPLICI LA VITA BUONA Nell’omelia della Messa di Pasqua presieduta nella Cattedrale di Genova il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha ricordato che Cristo Risorto «si lascia vedere, si fa scoprire vicino, si fa trovare nascosto nei sacramenti, nella Chiesa, nei poveri e nei deboli, nei martiri; è nascosto sotto l’ampio mantello del bene, della verità e della bellezza». Il Risorto, infatti, «è sempre con noi, desidera solo che lo cerchiamo, che lo invochiamo, perché l’amore non impone la sua presenza, ma si offre a chi lo desidera». Ma nella sua omelia di Pasqua ha domandato: «Dobbiamo attendere la morte e la risurrezione finale per gioire e gustare il mondo nuovo? ». La risposta è sì «se guardiamo a ciò che accade, al terrorismo contagioso, alla violenza diffusa, ai muri e alle barriere verso chi soffre, al nuovo disordine mondiale, al nichilismo allegro della morte, ai nostri difetti ricorrenti». «Ma – ha aggiunto – l’esperienza rivela che, sotto la superficie spumeggiante del male, brulica la vita buona degli umili e dei semplici, degli onesti e dei generosi, delle famiglie che con amore e sacrificio sono esempio di dedizione ed eroismo. Troviamo l’esempio dei martiri straziati e uccisi perché sono cristiani. Tutto questo è segno che Gesù è risorto ed è con noi; è primizia del mondo che verrà, anzi che è nato in Lui e che germoglia nella storia». SCOLA: QUEL «PER SEMPRE» DA VIVERE Dignità della vita, matrimonio, perdono: sono le «implicazioni» della «fede nel Risorto» messe in risalto dal cardinale Angelo Scola, in Duomo, nell’omelia della Messa di Pasqua che l’ha visto additare i cristiani martiri nel Medio Oriente e altrove quali testimoni della Resurrezione. «La fede nel Risorto - Gesù che apre alla nostra vita la speranza certa del “per sempre” - porta con sé importanti implicazioni per la vita terrena che i cristiani non cessano di proporre», soprattutto nella «società plurale». Anzitutto: «Il “per sempre” chiede di salvaguardare la dignità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale». In secondo luogo: «Il Risorto dà ragione piena al “per sempre” dell’amore tra l’uomo e la donna'» Dall’«amore fedele» testimoniato da coppie sposate da tanti anni «scaturisce un fattore di solidità per le nostre società». Senza la famiglia «non si può edificare una vita buona e capace di accoglienza». Infine: il Risorto, «che è il “per sempre” dell’amore del Padre per ogni donna e ogni uomo, si manifesta nell’esperienza del perdono». BASSETTI: ASCOLTARE LE GRIDA DI DOLORE «La Pasqua è vita della nostra vita». Ed «è grande la responsabilità del cristiano» perché è chiamato a «essere testimone del Risorto fra le case degli uomini». L’arcivescovo di Perugia- Città della Pieve, cardinale Gualtiero Bassetti, ha invitato i credenti a non essere «rinchiusi in se stessi» nell’omelia della notte di Pasqua. Secondo il porporato, la Risurrezione fa sì che non siamo «insensibili alle grida di dolore che si innalzano dall’umanità ferita », come ha scritto anche nelle meditazioni della Via Crucis al Colosseo con il Papa. Bassetti ha citato i «tragici fatti di Parigi e di Bruxelles, frutto di un terrorismo cieco e fanatico che vuole soltanto creare terrore, insicurezza e paura» e «l’interminabile esodo dei profughi ». Poi ha aggiunto: «Ho ritenuto una grande grazia del Signore avere potuto lavare i piedi a sei di loro, ospiti di alcune strutture della nostra Caritas diocesana». Quindi si è soffermato sulle persecuzioni per la fede rivolgendo il suo pensiero alle quattro suore Missionarie della carità trucidate nello Yemen. «Insieme hanno vissuto, testimoniato e dato la loro vita, perché sapevano benissimo a ciò che andavano incontro. Nella loro ultima lettera hanno scritto: “Imploriamo Gesù misericordioso di proteggere i nostri poveri e di concedere pace a questa nazione”». SEPE: SUPERIAMO L’INDIFFERENZA «Attraversare la storia senza aderire alle logiche della terra, ma a quelle del Vangelo». È l’esortazione che l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, ha rivolto durante la Messa solenne di Pasqua celebrata in duomo. «La Risurrezione di Cristo – ha spiegato Sepe – cambia totalmente l’orizzonte della nostra storia, proiettando il nostro destino “lassù”, dov’è Cristo Risorto». E ha aggiunto: «La consegna del Risorto non è un invito al disimpegno sociale o a vivere con indifferenza la lotta del quotidiano, ma invece spinge a rinnegare le passioni umane, gli ideali di successo e di potere ». Con la libertà «donata da Cristo, che ci ha rimessi in piedi e ci aiuta a camminare per le strade del mondo con responsabilità e impegno per portare a tutti l’annuncio di pace e solidarietà, inizia il nostro esodo verso quel Cielo di cui Cristo stesso ci ha aperto le porte e al quale siamo destinati». E la conclusione: «La Risurrezione diventa un punto di partenza per ognuno che vuole essere veramente libero e camminare con dignità nella vita». BETORI: DICIAMO «NO» ALLA CULTURA DI MORTE Nell’omelia della notte di Pasqua l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, ha fatto riferimento alle ragazze morte in Spagna, alle vittime degli attacchi terroristici, alle guerre, alla miseria e ai milioni di profughi «che bussano alle nostre porte troppe volte chiuse nell’egoismo», oltre che a una diffusa «cultura di morte che, in spregio al valore inalienabile della persona umana, fa vittime tra i più deboli e indifesi, dal grembo materno ai letti della sofferenza». Di fronte a tutto questo «solo l’annuncio che c’è altro oltre la morte, che la morte cioè non è l’ultima parola della vicenda umana e della storia del mondo, può far uscire dalla disperazione e dal non senso». Solo il messaggio della fede, ha aggiunto Betori nella Messa del giorno di Pasqua, «risplende nella luminosità della verità che rivela e diventa orientamento sicuro per chi se ne lascia conquistare e ad essa si affida». E ha chiarito: «Guidati da questo sguardo di amore e di vita è possibile pensare un mondo nuovo, libero dalla malvagità e proiettato verso il bene». MONTENEGRO: VIA LE PIETRE DAI CUORI «Buona Pasqua non è solo un augurio formale, significa speranza. È il Signore che dice che, se una tomba può diventare il luogo da cui spunta la luce, allora la speranza è possibile per tutti». Il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha toccato i nodi sociali più urgenti nel suo messaggio pasquale, ricordando che «il Signore affida a noi, a chi crede, che gli altri possano vedere la luce. Se dovessi mandare una cartolina di Pasqua, sceglierei la foto di quel bambino nato in Turchia che viene lavato in mezzo al fango. Quello è il segno della Pasqua, una vita che spunta in tanta sofferenza. La Pasqua è l’invito di Gesù a pensare che l’impossibile potrebbe anche diventare possibile purché ognuno faccia la sua parte. Sotto quell’immagine – ha aggiunto Montenegro – scriverei le parole di tanti immigrati che in giro per l’Italia e per l’Europa mi hanno detto: quando torni tra la tua gente ringraziala, perché se siamo qui è grazie a loro. Forse dobbiamo aiutarci a spostare la pietra dal nostro cuore per aiutare gli altri a togliere la loro». MENICHELLI: LA MISERICORDIA È LA STELLA Il cardinal Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, nell’omelia della Messa di Pasqua celebrata in Cattedrale, ha spiegato il significato dell’esperienza cristiana del “passaggio” verso la Resurrezione utilizzando l’immagine del carcere dove nel Giovedì Santo ha lavato i piedi a dodici detenuti (a Montacuto e a Barcaglione di Ancona). «Un’esperienza forte», ha spiegato Menichelli: su 280 detenuti hanno deciso di partecipar più della metà, circa 150 e ognuno di loro ha accettato in dono – qualcuno per la prima volta – una copia della Bibbia. «Ecco – ha sottolineato il cardinale – ho trovato persone che desiderano profondamente voltare pagina. Ecco, allora, in questa Pasqua mi sento di darvi tre coordinate: la prima è la riforma della coscienza personale e collettiva; la seconda, assumere la misericordia come “misura” della nostra vita; la terza, colorare la nostra esistenza con il pastello dell’ottimismo, per essere non solo salvati ma avere anche la faccia dei salvati». NOSIGLIA: SERVONO PIÙ PONTI E MENO MURI Dove sta la speranza? I giorni di Pasqua a Torino sono stati segnati non solo degli attentati ma anche dalla tragedia spagnola delle ragazze morte nel bus. L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha celebrato giovedì i funerali di Serena ed è tornato su questo «nodo» di emozioni e di angoscia nelle due omelie di Pasqua, ricordando che il «centro» della speranza è il Cristo stesso che vince la morte e indica una strada per non aver paura. Il Risorto annuncia «un’umanità nuova, meno egoista e protesa solo al proprio tornaconto e più disposta a costruire dei ponti e non dei muri tra le persone, le culture, le religioni». È Cristo che dà la forza per superare i muri e le difficoltà; è Cristo risorto che rende concreta la speranza di un’esistenza diversa, ricca di senso e di gioia. Per questo l’arcivescovo vorrebbe che l’annuncio gioioso della «speranza» che non muore possa raggiungere tutte le persone; a cominciare da quei giovani che oggi faticano a intravedere un futuro nelle loro attuali condizioni di vita. ZUPPI: VA SCONFITTA LA RASSEGNAZIONE L’annuncio della Risurrezione raggiunge solo chi ha pianto e chi non si arrende al male. Una sfida grande, perché quando il male e la morte sembrano vincere, come accaduto a Bruxelles, nasce la rassegnazione. Così l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, si è espresso nella Messa della notte di Pasqua. «Nessuno sceglie la rassegnazione – ha detto – ma se non speriamo, essa finisce per avvolgerci, spegne l’entusiasmo, asseconda le delusioni, consiglia di non amare». Ecco allora l’importanza di non arrendersi, e di sperare, di cercare una risposta. Così come le donne che sono corse al sepolcro la mattina di Pasqua. «Per amore vincono la paura e affrontano il male e le sue conseguenze. Di buon mattino, quando era ancora buio, prendono solo l’aroma e vanno al sepolcro. Solo chi ha misericordia vede la Risurrezione, la luce di quel sole che sorge e che rischiara l’ombra della morte. Le donne non vanno per coraggio, ma solo perché il loro cuore non può accettare di lasciare solo Gesù. Vanno per amore, anche quando sembra inutile». Quindi l’invito a imitare l’atteggiamento delle donne evangeliche- «Il vaso è il nostro cuore. Portiamolo lì, dove sembra non esserci vita. Portiamolo nei tanti sepolcri di questo mondo, come i letti degli ospedali; a chi è abbandonato nella atroce solitudine; a chi è scansato ai margini della strada; a chi approda alla ricerca di futuro. Quell’aroma ci farà vedere la gloria della vita che risorge». MORAGLIA: USCIRE SULLE VIE DEL MONDO «Come discepoli e comunità cristiana siamo chiamati a diventare sempre più Chiesa del Risorto », assumendo lo stile ecclesiale sollecitato da papa Francesco con il richiamo a «uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare ». Lo ha detto nella celebrazione pasquale nella Basilica di San Marco il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ricordando che la Pasqua «è tempo di gioia vera e obiettiva perché il cristiano guarda in modo nuovo il suo futuro e quello del mondo in quanto a Pasqua la salvezza è donata in Gesù, il Vivente risorto». Ma credere nella Risurrezione – ha precisato il patriarca – non vuol dire chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie della storia, anche di fronte agli eventi drammatici e assurdi – le morti ingiuste, gli attentati, il terrorismo – di questi giorni. «La Pasqua dice un’altra cosa, che l’ultima parola sulla storia e sui suoi avvenimenti non sarà quella degli uomini». Con una rassicurazione in più: «Papa Francesco insiste sugli esiti tragici della cultura dello scarto e a Pasqua che cosa succede? Tutto si ribalta, tutto assume una nuova logica, tutto si riscrive in Dio e secondo la logica di Dio al di là delle anguste e grette possibilità umane e, quindi, oltre le ingiustizie e i drammi della storia». LOREFICE: ACCANTO A CHI SOFFRE «La corsa verso il sepolcro vuoto è una metafora della vita, in questa corsa irrompe Dio. Nella corsa del discepolo c’è l’opportunità data a ciascuno di noi». L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, nella sua prima Messa solenne di Pasqua alla guida della diocesi siciliana e dopo aver celebrato nel carcere Ucciardone, ha offerto un messaggio di speranza rivolgendosi a tutte le situazioni difficili e di sofferenza. «La Pasqua ci dice che nessuna morte, nessuna sofferenza è definitiva. Noi siamo risanati per prendere parte a questa energia di vita», ha detto. E ha parlato di coloro che stanno per perdere il posto di lavoro, come i dipendenti del call center Almaviva, di quanti «sono nel lutto a causa del terrorismo», di coloro che «carne della nostra carne sono perseguitati in Siria e nel Medioriente, perché annunciano che Cristo è risorto». Lorefice ha spronato anche a vivere e costruire la speranza, con una testimonianza «tra le case degli uomini, in mezzo alle opere e ai giorni della nostra gente, spesso così affaccendata ma pur sempre alla ricerca di luce nella notte che turba l’esistenza». Hanno collaborato Marco Bonatti, Rosanna Borzillo, Michela Conficconi, Francesco Dal Mas, Andrea Fagioli, Giacomo Gambassi, Lorenzo Rosoli, Adriano Torti, Alessandra Turrisi, Vincenzo Varagona. © RIPRODUZIONE RISERVATA Risurrezione di Cristo (1616) di Rubens nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze
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