lunedì 27 febbraio 2023
Uliana ha lasciato la città martire dove si era rifugiata dopo l’inizio degli scontri in Donbass. Ora vive nella capitale e anima il “doposcuola” per i ragazzi dell’est del Paese
I ragazzi profughi di guerra che ora vivono a Kiev e che seguono il “doposcuola” promosso da Caritas Ucraina In fondo le animatrici del gruppo che si riunisce ogni pomeriggio

I ragazzi profughi di guerra che ora vivono a Kiev e che seguono il “doposcuola” promosso da Caritas Ucraina In fondo le animatrici del gruppo che si riunisce ogni pomeriggio - Avvenire-Caritas Ucraina

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Sa bene Uliana Pryhodko che cosa significhi essere una sfollata. Lei lo è stata due volte per la guerra che «da nove anni insanguina l’Ucraina », dice. È originaria di Mryne, villaggio di mille anime nella regione di Donetsk. «Quando nel 2014 è iniziata l’aggressione russa al Donbass, sono stata costretta a lasciare la mia terra». E come approdo sicuro ha scelto Mariupol: quella che sarebbe diventata la città martire nella prima fase dell’invasione su larga scala lanciata un anno fa, simbolo della resistenza ucraina pagata con la distruzione sistematica di ogni quartiere. «Era il 18 marzo quando sono fuggita dalle bombe. Per sopravvivere ho dovuto abbandonare di nuovo la mia casa. Ecco perché capisco i bambini che hanno lasciato tutto e ora vivono da rifugiati». I ragazzi di cui parla Uliana sono quelli seduti intorno al tavolo sopra cui si scambiamo pennarelli, cartoncini, candele, adesivi. Tutti profughi di guerra come lei, che a Kiev provano a ricostruirsi un domani con le loro famiglie. Invece il presente è segnato «dalle difficoltà e anche dai disagi psicologici», racconta la donna che è una delle animatrici del “doposcuola” voluto dalla Caritas Ucraina, espressione della Chiesa greco-cattolica.

L’appuntamento è alle due di ogni pomeriggio nella sede sulla riva sinistra del fiume Dnepr che taglia la capitale. Una palazzina di color rosa a due piani che sembra scomparire in mezzo ai casermoni e ai grattacieli della sponda residenziale. L’esperienza di vicinanza ai più fragili fra i 4 e i 16 anni, che ha fatto nascere il “Centro ragazzi”, è cominciata sei anni fa ma il conflitto l’ha stravolta. «Ora siamo a servizio dei piccoli profughi», spiega Nastya Stupachenko, altra colonna del gruppo che assiste i baby ospiti. «Abitano qui vicino, nei condomini della zona, oppure hanno trovato un tetto nei villaggi dell’hinterland di Kiev». Si va dai dieci ai venti ragazzi al giorno. Tutto sommato rimane un “doposcuola”, anche se la scuola al tempo della guerra è ben altro. «Per molti di loro le lezioni sono per lo più online – prosegue l’animatrice –. Così la nostra iniziativa diventa una delle poche occasioni di incontro dal vivo». Le luci del salone si spengono all’improvviso. Ma nessuno ci fa caso. «È uno dei black-out programmati per razionalizzare il consumo di energia elettrica», dice Nastya. E prende l’accumulatore da collegare a un faro a led per poter continuare a costruire le ghirlande che i ragazzi porteranno come regalo alle mamme.

Sorride Kira, 9 anni. «Mi piacciono i lavoretti manuali», sussurra. Gli occhi non lasciano traspare serenità. «Ricordo quando stavamo nascosti e sentivamo le esplosioni. Una ha distrutto tutti i vetri di casa. Ho avuto paura», racconta. È accaduto a Kramatorsk dove lei è nata e da cui sarebbe fuggita con mamma Tatyana. E per Kira è cominciato un pellegrinaggio del dolore. Prima a Kherson, città da cui le due sono dovute partire quando si sono intensificati gli attacchi. Poi a Leopoli. Quindi in Germania. In autunno la scelta di rientrare in Ucraina e fermarsi nella capitale con il padre. «Sono contenta di essere tornata. Ma non ho più molti amici», ammette. «I traumi di guerra sono una piaga che riguarda bambini e adulti – afferma Valeriy Kramarenko, anche lui operatore Caritas –. Molti dei più piccoli non hanno ancora assimilato i cambiamenti repentini a cui l’invasione russa li ha obbligati. Allora abbiamo ideato un percorso di sostegno per le famiglie con l’aiuto di un’équipe di psicologi». E per vincere la solitudine Valeriy ha coinvolto anche una stella del basket, Stanislav Medvedenko, con un passato nella Nba statunitense, che si è allenato con i bambini nella palestra di una scuola a due passi.

«Non si tratta di assistenzialismo – aggiunge Valeriy –. Vogliamo che tutti riprendano in mano la propria vita, anche se è una vita deformata dai missili, dal terrore, dalle evacuazioni, dalla povertà». Uliana accompagna la mano di Kira che sta incollando due fogli. «Alla Caritas dico “grazie” perché mi ha dato un’opportunità in mezzo al nulla. Per fortuna c’è chi non mi ha fatto sentire sola in una città sconosciuta». Come lei fa con i piccoli che nell’anima portano le ferite della follia delle armi.

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