sabato 15 ottobre 2022
Il teologo e filosofo vede nel sacerdote lombardo di cui si celebra il centenario della nascita «un esempio di radicalità feconda»
Don Luigi Maria Epicoco

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«L’eredità di Giussani è qualcosa di vivo e utile alla Chiesa. Ciò che ha testimoniato in tutta la sua vita non può morire, perché ha speso la sua esistenza completamente legato a Cristo, e Cristo c’è sempre, è contemporaneo». Don Luigi Maria Epicoco, teologo e filosofo, scrittore di successo, assistente spirituale del Dicastero pontificio della Comunicazione, vede nel sacerdote lombardo di cui si celebra il centenario della nascita «un esempio di radicalità feconda».

«Siamo abituati a pensare a Giussani associandolo alle iniziative che l’hanno visto protagonista in prima persona, ma in realtà la sua opera assume un nuovo significato proprio a partire dalla sua morte. È il destino di coloro che portano un carisma: da una parte c’è il fuoco, la passione e poi c’è una seconda stagione, che è quella dell’entrare nella vita della Chiesa e della storia non più con l’irruenza ma con la quotidianità, la ferialità. Perché in fondo la loro vita ha inciso in maniera ordinaria sul modo di essere Chiesa e di essere cristiani. Il carisma di Giussani è fortemente cristocentrico. Alcuni pensano che mettere al centro Cristo significa mettere al centro innanzitutto il suo insegnamento e la morale che se ne può dedurre, ma lui ha messo al centro la persona di Gesù, di cui la teologia, la morale e ciò che è la ricaduta nella storia è solo conseguenza».

Quale contributo ha dato alla riflessione teologica, in particolare dopo il Concilio?
Si può riassumere in un’intuizione di fondo: ridare protagonismo al Battesimo, cioè a quella radice cristiana che è alla base di ogni credente. Non è un’esperienza che diventa vera solo in forza del sacerdozio o di una vocazione religiosa, ma riscopre la forza universale del Battesimo. Proprio per questo è un cammino aperto a tutti, non un cammino clericale nel senso negativo del termine. E chiede una forte assunzione di responsabilità ai laici.

Giussani è stato anche educatore, qual è la cifra che lo caratterizza?
La scelta di mettersi anzitutto in ascolto. Solo se ci poniamo in ascolto della domanda che è nel cuore delle persone possiamo anche proporre ad alta voce una risposta. Educare non è tanto rispondere alla domanda, ma accompagnare le persone a farsi bene la domanda, questa è la posizione che si coglie leggendo i suoi testi.

È stato spesso etichettato come un “intransigente”, e quindi poco propenso al dialogo.
Se guardiamo alla figura dei profeti come la Bibbia ce li racconta, ci troviamo davanti non a figure equilibrate ma fortemente intransigenti e quindi portatori di uno squilibrio che in fondo è l’alfabeto attraverso cui Dio ha parlato al suo popolo ed è entrato nella storia della salvezza. Credo che sia una chiave di lettura anche di quella che possiamo chiamare una certa intransigenza di Giussani.

Per qualcuno era un conservatore…
Tutto ciò che nasce dallo Spirito non è incasellabile, è sempre più grande di un’etichetta. Si cerca di semplificare le questioni parlando di destra e sinistra, di progressismo e tradizionalismo, ma le persone che si lasciano guidare dallo Spirito difficilmente possono essere rinchiuse in uno schema. Giussani è un uomo attraversato dallo Spirito e proprio per questo è un uomo libero, non incasellabile. È un “estremista” nel senso che riconduce le questioni alla loro radice ultima. A volte nella Chiesa si preferisce una “pastorale di intrattenimento” piuttosto che un’azione che aiuti le persone ad arrivare alla radicalità di una domanda su di sé e quindi a scoprire l’utilità della fede. Il dialogo non si fa perché vogliamo essere seducenti nei confronti del mondo ma perché, come dice San Paolo, “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui”, quindi non c’è nulla dell’esperienza umana e delle culture che non abbia a che fare con Cristo. Per questo possiamo dialogare con tutti.

C’è un rapporto tra l’impeto missionario che Giussani evocava spesso e l’appello per una “Chiesa in uscita”?
Il tema della Chiesa in uscita che papa Francesco sottolinea fortemente è stato vissuto da Giussani attraverso la valorizzazione dell’amicizia. L’amicizia è sempre in uscita, voler bene è sempre un esodo, è venir fuori dalla solitudine dell’io per andare incontro all’altro. Giussani ha educato a questo esodo, e quando il singolo battezzato vive in uscita, tutta la Chiesa si educa a vivere questo esodo verso l’altro. La Chiesa non è un guscio ma un arco che ci proietta in avanti. Non è un porto rassicurante che mette al riparo dal mare aperto, al contrario, è sentirsi talmente appartenente a Qualcuno da poter prendere il mare aperto e andare fino alle periferie geografiche ed esistenziali. Giussani ha generato gente così.

C’è qualcosa di lui che è stata utile alla sua persona?
Non l’ho mai incontrato personalmente, ma il fuoco che quest’uomo si portava dentro, la passione con cui ha vissuto è qualcosa che mi colpisce. È un uomo innamorato di Gesù, questa è la sua più grande eredità che mi accompagna nel mio percorso personale.

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