La carica dei missionari digitali e degli influencer: è la Chiesa che cambia
Aperti i lavori in Vaticano con Parolin, Fisichella, Ruffini e Ruiz. Il segretario di Stato: siamo chiamati a offrire il Vangelo con creatività e discernimento

Per due giorni, la Chiesa respira al ritmo della rete. Il primo Giubileo degli Influencer e dei Missionari Digitali si è aperto oggi a Roma con una partecipazione che ha superato le attese: oltre 1700 partecipanti da 75 Paesi si sono ritrovati all’Auditorium della Conciliazione, accolti da parole che non solo hanno lanciato l’evento, ma lo hanno segnato come tappa decisiva di un nuovo cammino missionario.
Ad aprire la giornata, le parole del cardinale Pietro Parolin, che ha offerto una lettura teologica e pastorale del nostro tempo: «Ciò che caratterizza l’umano è la capacità di farsi delle domande, la domanda di oggi è: come il mondo digitale, che sta trasformando rapidamente le dinamiche sociali, può comunicare la fede?». Lo stile cristiano della missione digitale, secondo il Segretario di Stato, deve partire dal presupposto che «Ogni persona è un volto, non un profilo e la sua storia è sacra, non un insieme di dati. Fare nuovo l’ambiente digitale è la sfida che attende tutti voi, sentitela come la vostra missione».

L’arcivescovo Rino Fisichella, proprefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, ha evidenziato il legame profondo tra questo Giubileo e quello dei giovani: «Non è un caso che abbiamo scelto l’inizio del Giubileo dei giovani per dare vita al primo giubileo degli influencer: a voi la grande responsabilità di raccontare ciò che in questi giorni avviene. Questo incontro vuole essere un impegno a coniugare i contenuti con le persone, non si può fare evangelizzazione senza gli evangelizzatori, né gli evangelizzatori possono essere tali se non sentono l’urgenza di evangelizzare e di essere evangelizzati a loro volta».
Nel suo saluto, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione, ha ricordato l’identità profonda della Chiesa: «La Chiesa era una rete prima che la rete fosse il web, la rete che ci unisce è più grande perché viene da Dio, siamo il suo popolo. Il segreto della Chiesa è essere una rete di persone, non di chatbot, una rete in cui nessuno è il centro, l’unico che deve essere conosciuto e glorificato è Cristo». E ha proseguito: «Non siamo qui per misurare la potenza dei nostri brand, ma per fare verifica ed esame di coscienza su come annunciamo il Regno di Dio in questo nostro tempo. Non possiamo rimanere fermi, né rifugiarci in un altro tempo, ciascuno deve fare la propria parte senza sfuggire alle proprie responsabilità».
Monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero e cuore pulsante dell’organizzazione della due giorni, ha rimesso tutto nelle mani di Dio: «Bisogna essere coscienti che chi ci ha chiamato alla missione digitale è il Signore, fonte di tutti i doni che abbiamo». Poi ha aggiunto: «La missione digitale è importante per la Chiesa e il fondamento della missione anche sui mezzi digitali è la testimonianza della nostra vita». “Samaritanare”, il neologismo inventato da Papa Francesco, è la chiave di ogni missione: «l’attenzione al dolore è il punto chiave… ed è proprio questa attenzione che rende presente Dio».
A dare profondità spirituale alla mattinata è stato il gesuita padre David McCallum, il suo intervento, dal titolo “Connessi alla Parola”, ha proposto una lettura spirituale della connessione digitale, riportando il focus sull’unica vera connessione che dà senso a tutte le altre: quella con il Signore.
Da parte sua, poi, padre Antonio Spadaro ha rotto ogni ansia da fenomeni del web con parole dense e chiare: «Voi non siete utenti della rete, scrollatori di contenuti, spettatori passivi di contenuti digitali, siete qui perché sentite che il Vangelo ha qualcosa da dire nel flusso ininterrotto del web. Vogliamo una parola che non si impone, ma che accende, una parola che non trova spazio per volume, ma per luce». Ha proseguito con forza: «Non possiamo considerare il digitale soltanto un mezzo: essere missionari digitali non significa usare tiktok o instagram per evangelizzare, significa vivere l’ambiente digitale come un luogo da abitare con fede, la rete ha bisogno di vita». Il gesuita ha chiesto autenticità: «Tu non sei un brand, sei una benedizione: non devi vendere te stesso, ma offrire soltanto ciò che ti abita». E ha concluso: «Il Vangelo non ci chiede di avere seguaci, ma di essere fratelli tutti, per questo siamo chiamati a costruire comunità digitali: non basta il link, servono spazi d’incontro».
I lavori sono poi proseguiti attraverso gruppi di lavoro e tavole rotonde: si è parlato della vocazione alla santità nell’era digitale, delle sfide dell’annuncio e delle potenzialità dei nuovi linguaggi anche alla luce del Sinodo. Missionari digitali da ogni parte del mondo hanno condiviso esperienze, progetti, sogni e ferite. Il dialogo è stato sincero, concreto, spesso commosso: il digitale, è emerso più volte, non è solo una questione di strumenti, ma di presenza e di umanità.
La giornata si è chiusa con l’adorazione e la liturgia penitenziale guidata dal cardinale arcivescovo di Madrid, Cobo Cano, nella Basilica di San Pietro. Niente luci, niente schermi, solo il silenzio, il canto, l’Eucaristia. Nella penombra del Santissimo, ogni click ha lasciato spazio al contatto, ogni parola al Verbo.
Domani sarà il giorno del pellegrinaggio, del passaggio della Porta Santa, della consacrazione della missione digitale a Maria, del Festival degli Influencer. Ma già da ieri la missione digitale della Chiesa ha una consapevolezza nuova: la rete ha tanti volti, ma solo quelli illuminati dal Vangelo riescono a restituire al mondo un riflesso di eternità.
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