giovedì 12 luglio 2018
Padre Gianni Festa: nel leader della Dc carità, giustizia e prudenza. Tutto pronto per l'avvio della fase diocesana del processo di beatificazione
Aldo Moro nella polaroid scattata durante la sua prigionia. Foto dell'archivio Ansa

Aldo Moro nella polaroid scattata durante la sua prigionia. Foto dell'archivio Ansa

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Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse 40 anni fa, era un laico appartenente all’Ordine dei frati predicatori (domenicani). Potrebbe essere il santo della politica che ancora manca alla Chiesa». A confermare un fatto privato poco noto, riguardante l’ex presidente della Dc, è padre Gianni Festa, postulatore generale dei domenicani, cui recentemente è stata affidata la causa di beatificazione di Aldo Moro. Incontriamo il religioso con l’abito bianco nel suggestivo chiostro duecentesco del complesso monumentale di Santa Sabina all’Aventino, nel cuore della Capitale. È all’inizio del suo lavoro ma ha già una visione chiara sulla pratica esemplare delle virtù cristiane di Moro. «Credo che la santità dello statista pugliese possa essere ravvisata nello stile umile ed esemplare di una vita cristiana vissuta senza compromessi al servizio della politica e della società. Attualmente non c’è ancora un politico "puro" elevato alla gloria degli altari. Penso che la figura di Aldo Moro potrà risplendere nel panorama della santità come il "politico" santo, o il santo della politica».

Arrivarci non sarà facile, Moro è una figura ingombrante e non priva di detrattori. Quali saranno le sue prime mosse?
Anzitutto dobbiamo “ricercare”, attraverso la raccolta di testimonianze, l’esistenza della fama di santità per poi evidenziare l’alta qualità della sua vita cristiana, che si palesa nell’“eroica” pratica delle virtù teologali e cardinali. La virtù nella quale Moro ha eccelso è il servizio nella politica, definita da Paolo VI «la forma più alta della carità». L’agire politico di Moro è stato non solo il frutto maturo di una maestria intellettuale e giuridica, che tutti gli riconoscono, ma anche la fioritura di un’autentica pratica di vita santa. Mi riferisco alla sua intensa vita di preghiera, alla pratica quotidiana dei sacramenti, alla vita modesta, discreta, tutta tesa all’edificazione del bene dei cittadini e del Paese. E poiché di un futuro beato bisogna far emergere la qualità cristiana in cui ha eccelso, posso dire che in Moro le virtù che appaiono eloquenti di questa santità sono: la carità, la giustizia e la prudenza.

Quali altri aspetti mettere in luce?
Penso che il fondamento evangelico, cristiano, dell’agire politico di Moro debba essere individuato nella consapevolezza che aveva della propria identità di discepolo del Cristo. Non dimentichiamo che lui e altri noti personaggi del dopoguerra, La Pira, Lazzati, Dossetti, Giordani, sono stati discepoli di Paolo VI, che, in quegli anni come assistente ecclesiastico della Fuci, formava i suoi ragazzi sui corposi testi di Jacques Maritain, san Tommaso e di quella nouvelle théologie che giungeva dalla Francia. Questi ragazzi si sono formati alla luce dell’altissimo magistero del giovane Montini, divenendone figli spirituali. E fu proprio Paolo VI ad accennare alla santità di Moro quando, alle esequie ufficiali, nella preghiera, lo definì «uomo buono, mite, saggio, innocente e amico».

C’è un Moro ancora da scoprire?
L’attenzione su Aldo Moro fino ad oggi è stata quasi esclusivamente di tipo politico e indagatorio, legata ai fatti del sequestro e della morte violenta. Ma raramente è stato fatto notare il suo atteggiamento profondamente cristiano nel corso della prigionia, un atteggiamento “Cristo-mimetico”, come ha affermato don Giuseppe Dossetti nell’omelia della Messa che celebrò alcuni giorni dopo il ritrovamento del corpo del leader Dc. In quei giorni drammatici Moro si comporta, a parere di Dossetti, secondo quella immagine cara alla spiritualità ortodossa del “portatore della Passione di Gesù”: il perdono, la preghiera, l’affidarsi alla Provvidenza, lo testimoniano.

Sulle lettere si discute molto, in alcune Moro è duro con alcuni politici di allora, persino verso Paolo VI, ma quali di esse possono giovare alla sua causa?
Sono stupende le lettere ai propri cari, dalle quali si può operare una lettura anche spirituale di ciò che stava accadendo. In una indirizzata alla sua “Noretta”, Moro invita la moglie Eleonora a pregare e definisce la propria prigionia una «prova assurda e incomprensibile», ma afferma anche «questa è la volontà del Signore». Come non leggere in queste un’eco delle parole di Gesù che nell’Orto del Getsemani si rivolge al Padre domandando in qualche modo conto di ciò che sta accadendo ma rimettendosi alla sua volontà di Padre e donando la propria vita nella piena adesione alla volontà del Padre.

Lei pensa che sia auspicabile, visti i tempi, l’apertura dell’inchiesta per la beatificazione di Aldo Moro?
L’apertura di un’inchiesta diocesana che possa portare alla beatificazione di Moro è augurabile e necessaria. Oggi più che mai è il caso che la Chiesa proponga un modello di santità ai politici cattolici, perché ispirino la propria “azione” – nel rispetto della laicità dello Stato – a quelli che sono i valori del Vangelo. Una necessità, quest’ultima, rilevata più volte dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. Già nel 2008 il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, si domandava «come mai del ritardo, anche da parte della Chiesa, nell’aprire la causa di beatificazione di Moro, di questo uomo la cui memoria l’Italia non soltanto deve avere sommamente cara ma deve diventare vita nella vita degli altri».

Per essere proclamato beato è necessario un miracolo. Ce ne sono attribuiti all’intercessione di Moro?
Per ora non ne ho notizie. Se dovessero esserci casi di guarigioni scientificamente inspiegabili, allora si potrà aprire un’indagine, ma mi sembra prematuro un discorso di questo tipo. Oggi dobbiamo lavorare affinché l’apertura dell’inchiesta diocesana, ben impostata, giunga al suo scopo.

Possiamo ipotizzare una data per questo?
No, è presto.

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