giovedì 25 settembre 2014
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Il richiamo del muezzin riecheggia tra i viali di Camp Arena quando la base militare è ormai già completamente al buio. Una necessità più che una scelta quella di rendersi invisibili in mezzo al deserto perché, malgrado la calma apparente delle ultime settimane, il quartier generale del TAAC (Train Advise Assist Command) WEST - il comando Nato multinazionale e interforze a guida italiana di Herat - è ancora un obiettivo sensibile. L’ultimo razzo lanciato dagli insurgent in direzione del compound militare risale all’agosto scorso. Un episodio isolato, si affrettano a precisare dal contingente su base Brigata Bersaglieri Garibaldi, ma intanto la guardia resta alta e lo stato di allerta pure. Lo sa bene padre Mariano Asunis, il cappellano della base, che nella sua parrocchia accoglie gli sfoghi, le ansie e i pensieri di circa 1500 soldati. 56 anni, francescano, originario di Cagliari, padre Mariano è in Afghanistan dal febbraio scorso. Sette mesi vissuti nella consapevolezza di dover fare i conti con un ruolo delicato e complesso che richiede tenacia, spirito di sacrificio e anche tanta forza, morale e spirituale. "E’ in situazioni come questa che scopri il cuore di un uomo, i suoi timori, gli slanci ma anche il suo coraggio – confessa il cappellano – avere paura è umano, ma non bisogna mai lasciarsi schiacciare dalla croce". All’ingresso della chiesa, aperta 24 ore al giorno, c’è un grande quaderno sul quale chiunque può annotare, anche in forma anonima, una riflessione, una sensazione, uno stato d’animo: "E’ incredibile come questo possa essere d’aiuto – si sorprende padre Mariano – a volte una parola, un gesto, una carezza possono rivelarsi una medicina straordinaria in grado di risollevare, confortare, restituire fiducia. Lo ripeto ad ogni omelia perché so bene che dietro ad ogni divisa, per quanto austera, batte il cuore di un buon samaritano".

Nella cappella di questo francescano, ostinato e gentile, che attraversa i viali della base in bicicletta, non entrano però solo i cristiani. Sostenitore del dialogo interreligioso e consapevole del fatto che i musulmani riconoscono la Madonna come mamma del ‘profeta’ Gesù, padre Mariano - che tanti afghani definiscono il "mullah italiano" - ha capito che l’unico modo per superare le barriere e favorire il confronto tra le varie fedi era trovare una preghiera che accomunasse tutti. Non è un caso che alle pareti della sua stanza siano affisse le immagini della Madonna di Loreto (protettrice degli aviatori), di Papa Francesco (che ha incontrato proprio prima di partire per l’Afghanistan) e una foto che lo ritrae mentre prega insieme a un mullah afghano.

Cappellano militare dal 2003, padre Mariano ha all’attivo ben dieci missioni, di cui tre proprio nella terra dei pashtun e dei tagiki. Un decennio che ha il sapore amaro delle perdite (quelle dei militari caduti a Nassiriya) ma anche della speranza e della ricostruzione. "Non dimenticherò mai – dice - le parole di un soldato che a Sarajevo, dopo aver visitato la parrocchia della base, mi confidò di aver trovato finalmente Dio. Così come non posso non ricordare gli occhi pieni di gratitudine della popolazione locale nei confronti dei militari italiani".

Si commuove spesso padre Mariano, ricordando storie, volti e nomi, cita San Francesco, legge le testimonianze di don Luigi Verdi e prega perché tutti i soldati possano tornare a casa sani e salvi e riabbracciare le loro famiglie. "I militari italiani hanno una forza d’animo indescrivibile, aiutano se stessi aiutando gli altri, in silenzio, senza inutili proclami. Una generosità che li appaga e gli restituisce serenità. Mi piace pensare ai loro volti come ai vetri colorati della parrocchia che al mattino riflettono i raggi del sole creando fantastici giochi di luce e armonia".
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