Violante: i giovani si fanno domande di senso, la Chiesa sa ascoltarli
L’ex presidente della Camera sul milione di Tor Vergata: nel cambiamento d’epoca chiedono una vita che meriti di essere vissuta, oggi sento parlare di dignità della morte e non di speranza

Il “chiasso” del milione di Tor Vergata è arrivato ben oltre i confini della comunità cristiana, interrogando anche chi non si riconosce nella Chiesa. Un mondo con molteplici sensibilità, come quella di Luciano Violante, ex presidente della Camera, che si dice «credente non cattolico, nel senso che non ho religione». E che ha seguito il raduno romano, come già 25 anni fa quello con Giovanni Paolo II, «ma se i presenti sono molto numerosi come allora, – osserva – i tempi oggi sono ben diversi. Stiamo vivendo quello che papa Francesco ha definito “un cambiamento d’epoca” e gli adulti sembrano naufraghi che cercano di capire dov’è la terra, mentre i giovani si pongono una domanda di senso».

Che riflessioni le suggeriscono i ragazzi di Tor Vergata?
Una partecipazione non solo numericamente significativa ma così intensa ci dice anzitutto che la domanda di senso c’è, riguarda cosa sia in questo contesto una vita degna di essere vissuta, e ci parla dell’insufficienza del mondo fisico per rispondere. C’è una spinta di tipo metafisico che la Chiesa cattolica sta interpretando in modo adeguato e inerente alle aspettative delle giovani generazioni. Ci troviamo dentro la costruzione di un nuovo ordine mondiale, la violenza prevale sulla legge, il “mai più” che è stato detto dopo i campi di sterminio ora non si può più pronunciare con quello sta accadendo a Gaza... Tutto ciò pone ai ragazzi profonde domande di senso: davanti a questo mondo voi adulti cosa ci dite? Ecco, la risposta della Chiesa cattolica è all’altezza di questa domanda.
L’opinione pubblica sembra essere stata “sorpresa” da quel che ha visto a Roma...
Si parla sempre dei giovani quando commettono qualche pasticcio, e quando un milione di loro da oltre 140 Paesi arrivano e si relazionano in modo rispettoso, reciprocamente e dei luoghi dove si trovano, è chiaro che fanno notizia. Ma questo dipende dal fatto che molto spesso abbiamo un’idea sbagliata delle giovani generazioni, li vediamo continuamente attaccati allo smartphone e ai social. Invece c’è anche una parte di loro molto diversa, che usa questi strumenti ma con una visione antropocentrica, mettendo le persone al centro.
L’impressione è che non conosciamo davvero questi giovani. È così?
Certo, ma è vero che anche le giovani generazioni non conoscono quelle che le precedono: non ci conosciamo reciprocamente perché c’è una frantumazione della società contemporanea che produce questi effetti di estraniamento reciproco.
I giovani di Roma hanno smascherato la nostra difficoltà di sperare?
Il mondo adulto oscilla tra assenza di speranza e cinismo. Una manifestazione come Tor Vergata dà speranza, e se la collochiamo nello scenario del cambiamento d’epoca allora capiamo più a fondo cos’hanno voluto dire i ragazzi con la loro massiccia presenza al Giubileo: cercare risposte alle loro grandi domande.
Che domande vede emergere da loro?
Oggi sento parlare molto di dignità della morte, ma di dignità della vita non parla nessuno. Ed è questo problema di dignità del vivere che ci pongono anzitutto i ragazzi: cosa vuol dire vivere oggi, con quello che ci succede attorno? Che indirizzo possiamo dare alla nostra vita? In che modo possiamo vivere una vita che meriti di essere vissuta? I media hanno puntato sul numero di ragazzi presenti, ma il punto è la questione posta da loro: diteci qual è il senso della vita.
Cosa suggerisce il Giubileo dei giovani a chi non vive un’esperienza religiosa?
La ricerca di senso va fatta non solo dai ragazzi ma anche dagli adulti. Cosa significa vivere un cambiamento d’epoca? Come ci attrezziamo? L’ordine che si va creando è giusto o c’è un modo di impegnarsi per non restare in balia di chi sta decidendo le sorti del mondo? Il fatto che le contese internazionali si risolvano ovunque con la guerra non ci dice forse che negli adulti è venuta meno la speranza nella costruzione del futuro?
Cosa dicono questi ragazzi ai loro genitori, alle figure educative, alla stessa scuola?
Presiedo un centro di ricerca e uno dei temi di cui ci occupiamo è il rapporto tra formazione del capitale umano e povertà educativa. Stiamo vedendo che molti ragazzi non chiedono più ai genitori o alla scuola se quello che stanno facendo è giusto o sbagliato ma agli amici, alle chat, all’intelligenza artificiale. Il problema è come ricostruire un rapporto tra le generazioni. Una volta il sapere era discendente – dagli adulti ai giovani –, ora i giovani non pongono più domande agli adulti. Se si preferisce rivolgersi a ChatGpt per le questioni esistenziali, come sta accadendo, vuol dire che attorno ai giovani c’è un vuoto preoccupante.
E alla Chiesa che messaggio arriva da Tor Vergata?
Di essere come i tanti preti che vedo impegnati a stare accanto ai ragazzi nelle loro difficoltà e che di questo impegno hanno fatto una ragione di vita. Vedo parrocchie che nel modo più lineare e disinteressato si pongono al servizio delle generazioni più giovani. Stanno vicino a chi ha bisogno di un rapporto umano, di qualcuno che li ascolti, che gli indichi una via d’uscita dalla situazione in cui si trova. Mi sembra che la Chiesa in questo sia molto presente e che la sua opera sia di grande importanza sociale. Ma non separiamo i problemi delle generazioni: anche gli adulti hanno bisogno della Chiesa.
I giovani spesso sembrano disimpegnati, nella società, nella politica, nella stessa Chiesa. Da Roma ci arriva invece un messaggio piuttosto diverso. Come si possono attivare le loro risorse?
Siamo noi adulti che abbiamo gli occhi chiusi. Mi capita spesso di vedere giovani impegnati con i poveri, credo siano davvero tanti. Quanto al disinteresse per la politica, oggi i partiti non sono più “comunità pensanti” ma sistemi di contrapposizioni, tutti contro tutti, ed è attorno a esse che si svolge la vita politica. Non emerge mai quel pensiero costruttivo di cui si avverte un bisogno enorme. Per quale motivo un giovane dovrebbe avvicinarsi alla vita di partiti per i quali la politica non è più lo spazio del dialogo con chi non la pensa come te?
A tre mesi dall’elezione, che idea si è fatto di Leone XIV?
È una figura da seguire con grande attenzione e senza paraocchi, credo sia il Papa che ci vuole in questa fase in cui bisogna ricucire pezzi di società e di generazioni. Leone è la persona più adatta a svolgere questa funzione di grande “sartoria morale”, per rimettere insieme tutto ciò che è frantumato. Non tira fuori la parola eclatante: fa ragionamenti pacati, tutti diretti a “mettere insieme”. E di questo oggi c’è profondamente bisogno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Temi






