giovedì 18 aprile 2019
Sono tanti gli scrittori e i poeti laici che si sono interrogati sulla Passione e morte di Cristo. Per Dostoevskij il sacrificio di Gesù in croce è insieme dono d'amore e offerta di libertà.
"L'Ultima Cena" di Natalia Tsarkova

"L'Ultima Cena" di Natalia Tsarkova

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Il Triduo Pasquale che inizia con la Messa in “Coena Domini” del Giovedì Santo è, per dirla con papa Francesco «il fulcro di tutto l’anno liturgico». Il momento in cui il credente è chiamato a riflettere sulle radici più profonde della sua fede, ad abbracciare nella croce l’umiltà di un Dio che accetta la sofferenza più terribile per amore delle sue creature. Un mistero di dolore e di dono di sé che ha colpito e interrogato anche tanti scrittori e autori laici.

Dostoevskij ovvero perché Gesù non è sceso dalla croce

Nei “Fratelli Karamazov” l’ultimo suo romanzo, il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) interpreta la morte di Cristo in croce come una garanzia della libertà dell’uomo, chiamato sì ad amare Dio, ma per sua scelta, senza costrizioni.

«Tu non scendesti dalla croce,
quando per schernirti e per provocarti ti gridavano:
“Scendi dalla croce, e crederemo che sei proprio tu!”.
Non scendesti perché, anche questa volta,
non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo,
perché avevi sete
di una fede nata dalla libertà e non dal miracolo.
Avevi sete di amore libero,
e non dei servili entusiasmi dello schiavo
davanti al padrone potente
che lo ha terrorizzato una volta per sempre».

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