
Il cardinale Dieudonné Nzapalainga, 58 anni, l’arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana - Reuters
Sogna un Papa che sappia «parlare di Dio a tutti, senza guardare al colore della pelle, alla cultura di appartenenza, ai Paesi d’origine». E che sia capace di «costruire ponti tra le persone, tra le religioni, tra i popoli». «È questo che il mondo si aspetta dal nuovo Pontefice ed è ciò di cui ha bisogno la Chiesa». Il cardinale Dieudonné Nzapalainga sa bene che cosa significhi vivere in un Paese dilaniato dalle ingiustizie e dalle violenze spacciate per conflitti fra le fedi. È l’arcivescovo di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, nazione segnata dai colpi di Stato e dalla guerra civile. «Compito del Papa e di tutti noi è di continuare a dire: sì alla pace, sì alla riconciliazione, sì all’incontro, sì alla fraternità, sì all’unità della famiglia umana», sottolinea il porporato di 58 anni. Cardinale del dialogo che ha denunciato i mali del Paese, ha scelto di scommettere sulla collaborazione fra i credenti delle diverse fedi per ritessere relazioni di fiducia. Era a fianco di papa Francesco quando nel 2015 ha aperto la prima Porta Santa del Giubileo della misericordia proprio a Bangui. E l’anno successivo Nzapalainga avrebbe ricevuto la berretta cardinalizia.
Eminenza, quale Chiesa ci lascia papa Francesco?
Una Chiesa con uomini e donne che continuano a credere e a sperare. Ce lo hanno confermato i funerali di Francesco e il pellegrinaggio alla sua tomba: c’è un popolo che ha voluto dire grazie al Signore per aver donato alla Chiesa un Papa che ha servito Dio e i fratelli di ogni angolo del pianeta.
Quali sono oggi le priorità della Chiesa?
Anzitutto, l’evangelizzazione. Siamo chiamati ad annunciare il messaggio di salvezza di Cristo al mondo intero. Ed è questo l’impegno primario che Gesù ha affidato a Pietro. La Parola di Dio deve raggiungere tutte le culture, tutti i continenti, tutte le genti se vogliamo restare fedeli al mandato del Signore. E l’essenza stessa del Vangelo è di essere per tutti i popoli.
Quale specifico portano le Chiese dell’Africa nel Collegio cardinalizio?
Siamo parte di una Chiesa che dà voce alla speranza. Le nostre comunità sopportano durezze e difficoltà, ma sono capaci di unire le generazioni, di infondere entusiasmo, di attraversare le prove. Nei Paesi come quelli del nostro continente dove le fatiche sono quotidiane, la gente trova forza in Dio. Nel mio Paese, quando c’era la guerra, le persone dormivano in chiesa e la comunità ecclesiale è diventata come una madre che protegge i suoi figli. Per questo la Chiesa ha un posto così importante nella vita della popolazione e ha una particolare vivacità testimoniata anche dai numeri in crescita.
C’è chi immagina un Papa dell’Africa.
Non bisogna guardare alla provenienza del Pontefice. Giovanni Paolo II arrivava dalla Polonia; Benedetto XVI dalla Germania; Francesco dall’America Latina. Il Signore sa come illuminare i cardinali attraverso lo Spirito Santo. Non è importante che il Papa venga dall’Africa o dall’Europa o dall’Asia o dalle Americhe.
Il nuovo Papa si chiamerà Francesco II?
Dobbiamo lasciare al Papa la libertà di scelta. Ciò che conta è che sia il successore di Pietro alla sequela di Cristo. E lo Spirito lo illuminerà. Lo stesso Spirito che guiderà i cardinali chiamati a indicare colui cui affidare la cura della Chiesa universale. Preghiamo affinché il Signore ci dia un Papa che unisca tutta la Chiesa.
Papa Francesco lascia un Collegio cardinalizio ampio che abbraccia il mondo. C’è difficoltà a fare sintesi?
Un Collegio come quello attuale dice che la Chiesa non è appannaggio di un continente o di un gruppo. Anche noi cardinali dobbiamo far vibrare questo cuore universale. E tutto ciò testimonia al mondo che le differenze sono fonte di ricchezza quando la fede nel Risorto ci unisce e che si può andare avanti insieme.
Quanto il tema della pace sarà importante nell’agenda del nuovo Papa?
La guerra è morte, distruzione, sofferenza. Dio ci ha creati per la vita. Serve chinarsi sull’umanità ferita: questo è il Vangelo. E occorre abbandonare i nostri odi, le nostre vendette, tutto ciò che ci divide. Gli strumenti che la Chiesa ha a disposizione non sono le munizioni e le armi, ma la giustizia e la pace. La sfida è guardare all’altro non come a nemico ma come a fratello. E poi condividere l’impegno a far tacere le armi.
Francesco ha compiuto significativi passi in avanti nel dialogo con l’islam. Come si proseguirà?
Prima che papa Francesco visitasse il mio Paese, la gente diceva che i musulmani erano contro i cristiani e i cristiani contro i musulmani. Il Pontefice è entrato nella moschea e ha ammonito che la religione non può mai essere strumentalizzata per scopi bellici o politici. E ha aggiunto: “La religione deve unirci”. Quando ha lasciato la capitale, molti musulmani lo hanno seguito. Ecco il dialogo reale che si affianca allo storico Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza universale. “Fratelli tutti”: è questa la strada su cui occorre continuare a camminare.
La dichiarazione Fiducia supplicans che apre alla benedizione delle coppie “irregolari” comprese quelle omosessuali ha ricevuto critiche da parte dei vescovi dell’Africa. Che cosa attendersi?
Quando il documento è stato diffuso, la Chiesa in Africa ha avviato un processo sinodale che ha coinvolto tutti gli episcopati. Nella nostra risposta comune abbiamo sottolineato che ogni popolo ha la sua cultura. Non possiamo imporre una visione. Nella cultura africana queste benedizioni possono ingenerare confusione. E non vogliamo far passare l’idea che certe unioni siano equivalenti al matrimonio. Il Papa ha accolto con favore il nostro messaggio. Questa esperienza mostra che non esiste una cultura prevalente e che ogni cultura deve lasciarsi contaminare dalla Parola di Dio.
C’è chi ritiene che una sinodalità “spinta” rischi di sminuire il ruolo dei vescovi. Quale il suo giudizio?
Penso che la sinodalità aiuti i vescovi nella loro missione. Nessuno ha il monopolio dello Spirito Santo. Ecco perché occorre mettersi in ascolto di tutti e, insieme, trovare la via da seguire. Nel cammino sinodale ognuno ha il suo posto. Cristo ha affidato a Pietro la guida della Chiesa e i vescovi sono i successori degli Apostoli. Nulla viene cambiato di tutto questo. Ma siamo tutti sull’unica barca. E ciascuno è tenuto a portare il suo contributo: vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, il ricco laicato.