sabato 8 agosto 2020
Oggi avrebbe compiuto 84 anni, Messa a Dovadola (Forlì). La testimonianza di un incontro. «Con la fede la sua stanza di dolore divenne grande come il mondo»
Benedetta Bianchi Porro

Benedetta Bianchi Porro - Archivio

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Quasi un anno fa (il 14 settembre 2019) aveva luogo nella cattedrale di Forlì la cerimonia di beatificazione di Benedetta Bianchi Porro. Oggi, 8 agosto, in occasione del suo 84° compleanno, viene celebrata dal vescovo Livio Corazza una Messa alla Badia di Dovadola, luogo di nascita della beata.

Un’occasione per ricordare questa grande figura di giovane donna.

Chi mi conosce per altri argomenti su cui normalmente scrivo si potrà domandare perché sia proprio io a parlare di lei. Il fatto è che anch’io sono da moltissimi anni un lettore dei diari, delle lettere e dei pensieri di Benedetta, e di ogni cosa che si scriva su di lei, per una serie di circostanze che ora spiegherò. Nei primi mesi del 1964, ancora molto giovane, cominciavo a scrivere e a collaborare alla redazione della rivista Letture, dei padri gesuiti di San Fedele a Milano e ricordo che padre Gabriele Casolari – che aveva conosciuto Benedetta a Lourdes l’anno prima e le era stato poi vicino negli ultimi mesi di vita portandole anche la Comunione – mi raccontava di questa ragazza, appena morta a gennaio, con la partecipazione e la riconoscenza di chi, avendola conosciuta, si portava in eredità una grande testimonianza.

Qualche anno dopo, ebbi la fortuna di incontrare, sempre a San Fedele, all’Assistenza malati poveri di padre Lodovico Maino, una giovane donna, medico, che sarebbe poi diventata mia moglie, e che una volta aveva avuto occasione di incontrare e rincuorare Benedetta poco prima dell’esame di istologia e embriologia generale (3 giugno 1954) che avevano fatto insieme. Mia moglie aveva poi cominciato ad approfondire la figura di Benedetta, che di giorno in giorno era cresciuta nel suo devoto affetto, e attraverso di lei mi ero accostato anch’io ai suoi scritti, trovandoli una fonte preziosa di arricchimento spirituale. Poi mi capiterà più volte di parlare e scrivere di Benedetta; in particolare, mi restano scolpite nel cuore le parole di sua mamma Elsa, quando al termine di una conferenza mi si avvicinò per dirmi: «Grazie. Lei questa sera mi ha restituito mia figlia».

Ecco perché sono qui a ricordare la figura di Benedetta, che ci ha insegnato, soffrendo, la fatica e il coraggio di credere, non solo per chi ancora si interroga e cerca, ma anche per chi già crede: perché – come scriveva in un libro suo fratello Corrado – «la fede toglie l’incertezza della meta, non la fatica del viaggio».

Dalla sua stanza di dolore, diventata grande come il mondo nell’infinito navigare dei suoi pensieri e nel continuo dilatarsi del suo cuore agli altri, ha saputo tenere accesa in tutti quelli che l’hanno conosciuta la speranza e la gioia della vita. Nel ripercorrere le tappe del suo calvario, troviamo parole e gesti che ci mostrano la sua crescita nella fede; la sua umiltà nell’accogliere la volontà di Dio; il suo stupore per il dono e le meraviglie della vita, anche se guardate dall’abisso della malattia e della notte interiore; la sua compenetrazione del mistero della Croce, non solo nel sopportarla pazientemente, ma nell’abbracciarla con amore. Per arrivare alla fine a quel «tutto è gioia», perché «tutto è grazia», che è come il sigillo della sua vita trasfigurata dalla carità di Cristo.

Se Benedetta ha trascorso «giornate eternamente lunghe e buie, ma pur dolci di un’attesa infinitamente più grande del dolore – come ebbe a scrivere padre Casolari – la sua fede ha sempre saputo trasformarle in un canto di ringraziamento e di lode, per quanto lei si sentisse sempre timorosa di vacillare, non nella fede, ma nella generosità verso il Signore».

Io credo che Benedetta sia stata l’esempio di questa fede forte e sicura, che cerca però di mettersi continuamente alla prova e di perfezionarsi, perché anche per i santi – soprattutto per i santi – la fede è sempre un cammino alla ricerca di nuova luce. Se è vero che noi siamo, spiritualmente parlando, un’addizione di anime, nel senso che portiamo in noi l’eredità di tutte quelle persone sante che abbiamo incontrato sulla nostra strada e dei cui esempi, per quanto poco, cerchiamo di far tesoro, siamo al tempo stesso un’addizione di anime nel senso di tutti quei libri che hanno lasciato in noi una traccia profonda. Fra questi, ad illuminarci, ci sono anche gli scritti di Benedetta Bianchi Porro.




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