sabato 20 maggio 2023
Era rimasto con i suoi parrocchiani, offrendo la propria vita: «Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto». Con lui furono fucilati il seminarista Italo Subacchi e don Francesco Delnevo
Sacerdote martire. Don Giuseppe Beotti sarà beato

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«Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto». Più volte, in chiesa, a voce alta, don Giuseppe Beotti aveva espresso il desiderio di dare la vita, purché i suoi parrocchiani di Sidolo di Bardi fossero risparmiati dai rastrellamenti dei tedeschi. Morì fucilato il 20 luglio del 1944, a 31 anni, facendosi il segno di croce, il breviario stretto nella mano sinistra.

Ora la Chiesa ne riconosce il martirio: il Papa ha autorizzato il decreto di beatificazione del parroco nativo di Campremoldo Sotto, nel comune di Gragnano Trebbiense, dove le campane a festa, come quelle di Bardi, hanno salutato la notizia, comunicata, in contemporanea con la Santa Sede, dal vescovo di Piacenza-Bobbio Adriano Cevolotto al Consiglio pastorale diocesano.

«È un evento molto significativo per la nostra comunità, a pochi mesi dalla canonizzazione del vescovo San Giovanni Battista Scalabrini - commenta il presule -. Sono due testimonianze che ci indicano, in questo tempo segnato da tante incertezze per il futuro dell’umanità, che solo l’amore vero, come quello di Cristo, ci permette di guardare al domani con speranza». Don Beotti, in particolare, «ci aiuta a capire che solo vivendo con una generosità resa vera dal Vangelo ci si può prendere cura gli uni degli altri».

Ordinato il 2 aprile 1938, don Beotti iniziò il suo ministero in val Tidone, a Borgonovo, come curato. Forse perché era cresciuto in una famiglia numerosa, dalle modeste possibilità economiche, aveva una speciale sensibilità per chi era nel bisogno. Si racconta mandasse i chierichetti a consegnare buste con del denaro alle famiglie bisognose, con l’impegno di non svelare il mittente.

Nel 1940 fu nominato parroco a Sidolo, in val Ceno. Snodo tra nord e il sud dell’Italia, ben presto con la vicina val Taro divenne teatro delle rappresaglie tedesche. Don Giuseppe accoglieva ed aiutava tutti, senza distinzioni, fossero ebrei, partigiani, soldati feriti. Sapeva di rischiare grosso.

Domenica 16 luglio 1944, i tedeschi erano già a Borgotaro, durante la Messa esclamò, con voce ferma: «Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!».

Il 20, i tedeschi raggiunsero Sidolo e la misero a ferro e fuoco. Il sacerdote aveva trascorso la notte in preghiera insieme al seminarista Italo Subacchi e al parroco di Porcigatone don Francesco Delnevo, che avevano cercato rifugio in canonica. Nel luogo della loro esecuzione, a pochi metri dalla chiesa, sorge un cippo che ne richiama il sacrificio, mai dimenticato.


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