giovedì 13 agosto 2020
Nel secondo anniversario del crollo del ponte Morandi parla il nuovo arcivescovo. «È un dovere cristiano e civile ricordare. Chi ha responsabilità si impegni perché simili sciagure non si ripetano»
Il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca, fra la gente

Il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca, fra la gente - Ansa

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«Le tragedie, con le loro drammatiche conseguenze, non vanno mai dimenticate». Una pausa. «È un dovere cristiano ricordarle e anche civile». L’arcivescovo Marco Tasca guida la Chiesa di Genova da un mese, da quel pomeriggio dell’11 luglio quando ha ricevuto il pastorale dalle mani del suo predecessore, il cardinale Angelo Bagnasco. E in poco più di quattro settimane ha visto la città guardare al futuro e volgere lo sguardo al recente passato: prima, con l’inaugurazione del nuovo viadotto autostradale che porta il nome di san Giorgio, emblema del capoluogo, e che Tasca ha benedetto lo scorso 3 agosto; oggi, celebrando il secondo anniversario del crollo “maledetto” del ponte Morandi. Sarà lui, l’arcivescovo francescano con un passato da ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, a presiedere questa mattina alle 9 la Messa in suffragio delle vittime nella chiesa di San Bartolomeo della Certosa. Una chiesa non casuale. Perché è quella del quartiere lungo il Polcevera devastato dalla tragedia del 14 agosto 2018 che ancora porta i segni del dramma: non solo sotto i piloni del nuovo ponte, ma soprattutto nell’animo di chi ancora ci vive oppure è stato costretto a lasciarlo. Una ferita che tocca nel profondo l’arcivescovo, benché le sue radici affondino nei dintorni di Padova dove è nato 63 anni fa e Genova sia per lui come un universo ancora da scoprire nonostante abbia già visitato diverse parrocchie, sia entrato in cantieri e fabbriche, abbia solcato il golfo a bordo di una motovedetta, abbia fatto tappa fra i lavoratori del porto.

L'arcivescovo Marco Tasca su una motovedetta nel golfo di Genova

L'arcivescovo Marco Tasca su una motovedetta nel golfo di Genova - Il Cittadino

Eccellenza, che cosa significa fare memoria di una catastrofe che in molti sostengono potesse essere evitata?

Nel crollo del Morandi ben 43 persone vi hanno perso la vita: ricordarle è innanzitutto un dovere cristiano. Però ricordarle è anche un dovere civile in quanto è necessario, specialmente per chi ha responsabilità nella cosa pubblica, porre tutte le condizioni perché simili sciagure non si ripetano. La memoria di quanto accaduto è un grave peso interiore che i familiari delle vittime sono costretti a sopportare. Fare memoria vuol dire stare accanto a loro, sostenendoli moralmente e materialmente. Si tenga conto inoltre di coloro che quel giorno hanno perso la loro casa o sono stati pesantemente colpiti nell’esercizio del proprio lavoro.

Il nuovo ponte dice che una comunità può risorgere. La sua prima Lettera è intitolata “Rinascere dall’alto”. Che cosa significa oggi rinascere? In senso sociale e spirituale…

La ricostruzione del ponte è certamente un forte segno di rinascita per la città di Genova e per l’intero Paese: è un motivo d’incoraggiamento per tutti. Ma insieme alla ricostruzione – peraltro doverosa – di beni materiali occorre ricostruire anche i cuori, bisognosi di speranza e di fiducia per il futuro. Questo è un compito particolare della Chiesa. La prima Lettera del mio ministero episcopale ha tra gli obiettivi quello di rinsaldare la fede dei credenti perché trovino in Gesù le ragioni e la forza per continuare il cammino della vita, alzando lo sguardo da quanto può separarci dal Signore e dai fratelli o distrarci, condannandoci alla solitudine e all’aridità. Il credente sa che Dio è ricco d’amore e sa di essere cercato da Dio. La riscoperta dell’amore di Dio muove poi i cristiani a servire con generosità l’uomo e la società sia nelle esigenze spirituali sia in quelle materiali.

Il nuovo ponte autostradale San Giorgio a Genova

Il nuovo ponte autostradale San Giorgio a Genova - Avvenire

All’inaugurazione del viadotto Polcevera ha parlato di «superamento delle incomprensioni». Avverte una città dalla memoria divisa?

Ho auspicato che il nuovo ponte sia un segno di comunione e di fraternità. L’evento inaugurale mi è parso che fosse decisamente il frutto di una forte sinergia e che, nonostante fosse molto complessa e impegnativa, su tutto sia prevalsa la soddisfazione per il risultato ottenuto insieme da tutte le componenti che hanno avuto a che fare con il traguardo raggiunto. Il nuovo ponte faciliterà le comunicazioni e gli scambi umani e commerciali di cui la nostra terra ha tanto bisogno. Comunque non mi pare che Genova sia una città divisa. I “mugugni”, i “maniman” che mi dicono essere tipici di questa terra e le diverse visioni sociali e politiche non credo che intacchino il senso di concretezza e di condivisione del bene comune. La solidarietà e il senso di appartenenza alla città nelle frequenti tragedie degli ultimi decenni sono stati un evidente buon esempio per tutti.

Lei porta a Genova san Francesco e sant’Antonio?

Sono nato, cresciuto e diventato sacerdote nel mondo francescano, che ho cercato di servire con diversi e impegnativi incarichi. Le mie radici francescane sono dentro di me incancellabili. Spero che il mio essere religioso non sia accolto come un limite o un’invadenza, ma come una ricchezza in più da condividere anche nel nome di san Francesco e sant’Antonio di Padova. Come ho già detto, cercherò di essere un padre e pastore in costante ricerca della comunione, del dialogo, della relazione fraterna. E le mie decisioni saranno per quanto possibile un frutto condiviso piuttosto che l’imposizione del singolo.

L'arcivescovo Marco Tasca mentre saluta la gente a Genova

L'arcivescovo Marco Tasca mentre saluta la gente a Genova - Il Cittadino

La Chiesa di Genova ha anime variegate, all’apparenza magari distanti. Un esempio di convivialità delle differenze?

Le Chiese diocesane, che camminano nel solco della Chiesa universale, hanno molti e tra loro diversi carismi, frutto della loro storia e delle caratteristiche del territorio in cui sono inserite. Quella genovese, le cui origini risalgono ai primi missionari – i santi Nazario e Celso giunti in Liguria sul finire del terzo secolo – eredita dai suoi due millenni di storia un cammino di fede che ancora oggi è vivo e variegato, sostanzialmente unito tra le componenti ecclesiali locali. Grazie all’insegnamento dei suoi pastori, è unita nell’obbedienza al Papa e in sintonia pastorale con la Chiesa che è in Italia, grazie in particolare al ruolo che per un decennio ha svolto il mio predecessore Angelo Bagnasco con il suo incarico di presidente della Cei. Vescovo, sacerdoti e laici in questa diocesi stanno vivendo il loro cammino attraverso la presenza nei diversi organismi di partecipazione ecclesiale. Insieme agli appartenenti al mondo associativo tutti hanno la possibilità di sentirsi parte viva della Chiesa locale. Credo che le mie prime indicazioni di esprimerci tutti nel dialogo, nella fraternità e nell’accoglienza reciproca trovino già un terreno pronto a recepirle e incrementarle.

Qui la Chiesa è attenta al mondo del lavoro. Come oggi il lavoro (in particolare quello che manca) interroga la comunità ecclesiale?

Caratteristica forse unica in Italia, che ho scoperto a Genova, è la presenza dei cappellani del lavoro di ormai consolidata tradizione. Si tratta di una realtà molto apprezzata nelle grandi aziende locali per l’assistenza morale e spirituale di coloro che operano in esse ed è una preziosa occasione per sostenere come comunità diocesana le iniziative e gli interventi utili alla promozione del lavoro e di riflesso al sostegno all’occupazione per il bene delle famiglie e della società. Anche per questo e per l’opera di aiuto ai poveri, portata avanti dalle associazioni del settore, dai centri d’ascolto vicariali e dalle parrocchie, l’arcidiocesi gode di stima da parte delle istituzioni locali e di quanti usufruiscono delle sue opere di bene.

L'arcivescovo Marco Tasca benedice un cantiere a Genova

L'arcivescovo Marco Tasca benedice un cantiere a Genova - Ansa

Nella sua Lettera ha fatto riferimento alla pandemia. La crisi sanitaria sta diventando crisi sociale ed economica. Che cosa fare?

La pandemia è un gravissimo problema innanzitutto sanitario e voglio esprimere il mio plauso e il mio ringraziamento a quanti negli ospedali, nelle case di cura, nelle case per anziani e nei presidi locali si adoperano per far fronte al grande lavoro di assistere e guarire i colpiti dal coronavirus. La pandemia è un problema sociale perché sta logorando molte certezze e sicurezze. La pandemia è la causa di una devastazione economica in atto che coinvolge un gran numero di persone, famiglie, aziende ed esercizi commerciali. La pandemia è la causa di un’estesa paura, specie tra gli anziani che si sentono particolarmente in pericolo, visto il gran numero di persone già contagiate e dei morti. All’insicurezza del momento dovremmo far fronte moltiplicando gli sforzi, anche nella Chiesa, per ridare fiducia, speranza e coraggio a quanti – e sono tanti – ne hanno estremo bisogno. Preziosa allo scopo sarà la ripresa della vita delle parrocchie e del mondo ecclesiale nelle sue diverse espressioni associative.

Lei ha messo già in guardia la Chiesa locale dalla mondanità, dalla rigidità, dalla smania di apparire o di salire sul piedistallo.

A tutti dirò che siamo chiamati a servire, a non voler primeggiare ma a svolgere i propri compiti mettendo in primissimo piano il Vangelo, il rispetto per le regole della liturgia evitando ogni inutile e dannoso protagonismo. Nessuna vanità! Un solo esempio da imitare: la vita di Gesù.

Il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca

Il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca - Ansa

Lei invita al protagonismo laicale, a favorire la presenza cristiana negli ambienti del quotidiano. La Chiesa resta ancora troppo “clericale”?

Nella storia bimillenaria della Chiesa la presenza del clero è sempre stata trainante e determinante: i sacerdoti sono chiamati a essere guide, maestri e pastori nelle porzioni – parrocchie – della diocesi. Sulle loro spalle, specie in questi anni di scarsità di nuovi sacerdoti, pesa la responsabilità di far fronte, talvolta da soli, a tante esigenze pastorali e materiali. Essi stessi sono quindi i primi a sentire la necessità di coinvolgere e preparare il laicato in tutte quelle attività ed esigenze che non siano esclusive del clero. Ma è soprattutto in ragione del Battesimo ricevuto che i laici sono chiamati alla responsabilità nell’animazione della comunità cristiana. I tanti passi avanti, ma non esaustivi, che sono stati fatti dagli anni del Concilio Vaticano II nella promozione del laicato nella Chiesa ci spingeranno a lavorare in questo settore della vita ecclesiale.

Un religioso torna a guidare la Chiesa della Lanterna. L’ultimo vescovo francescano risale a sette secoli fa. Come legge la scelta di papa Francesco?

Nei decenni scorsi ci sono stati due religiosi che hanno ricoperto questa responsabilità episcopale a Genova: il cardinale Pietro Boetto, arcivescovo di Genova dal 1938 al 1946, gesuita, proclamato Giusto tra le nazioni per l'opera di salvezza a favore degli ebrei nell'ultimo conflitto mondiale, e lo stesso cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova dal 2002 al 2006, salesiano, poi segretario di Stato vaticano. Per quanto mi riguarda, dopo l'inevitabile primo momento di sorpresa e di emotività, ho letto la scelta del Papa come il mandato per una nuova missione da svolgere nel segno dell'obbedienza al Signore e al Santo Padre.

Il nuovo ponte autostradale San Giorgio a Genova

Il nuovo ponte autostradale San Giorgio a Genova - Ansa

Da ministro generale di un Ordine ha ben conosciuto le terre di missione. Come essere missionari fra i carruggi?

Ho saputo che anche da Genova sono partiti diversi sacerdoti, religiosi, religiose e laici che operano in terre cosiddette di missione. A loro il mio affetto, la mia stima, il mio ringraziamento insieme al desiderio d’incontrarli presto. Ma anche Genova è oggi terra di missione. Tutto il mondo è oggi sempre più terra di missione. Quanti battezzati, anche a Genova, hanno bisogno non solo di catechesi ma di evangelizzazione! Siamo tutti chiamati a tenerne decisamente conto.

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