sabato 5 settembre 2020
Ai preti, di 13 Paesi, Bergoglio ha anche chiesto che «attraverso la loro unione con il Papa realizzino sempre quell’aspirazione di san Josemaría: tutti, con Pietro, a Gesù attraverso Maria»
Il gruppo dei nuovi sacerdoti dell’Opus Dei ordinati ieri. Al centro, il prelato Ocáriz

Il gruppo dei nuovi sacerdoti dell’Opus Dei ordinati ieri. Al centro, il prelato Ocáriz - Collaboratori

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«Chiedo ai nuovi sacerdoti di considerare, insieme alla grandezza del dono del sacerdozio, il significato di riceverlo proprio in questi momenti di tanta sofferenza nel mondo, in cui la presenza di Cristo sofferente e misericordioso diventa particolarmente palpabile; una presenza che il Signore vuole realizzare attraverso il vostro ministero. Come i discepoli, sperimenteremo che, con Lui a bordo, non siamo naufraghi». Lo scrive il Papa nel messaggio per i 29 nuovi sacerdoti della Prelatura dell’Opus Dei, ordinati ieri mattina nella Basilica romana di Sant’Eugenio dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.

Ai preti, provenienti da 13 Paesi, Francesco ha anche chiesto che «attraverso la loro unione con il Papa realizzino sempre quell’aspirazione di san Josemaría: tutti, con Pietro, a Gesù attraverso Maria», una delle più celebri giaculatorie del fondatore dell’Opus Dei, l’uomo che nel 1928 a Madrid aprì un nuovo cammino di santità per i laici nella Chiesa da sacerdote appena 26enne.

Nel messaggio affidato a Parolin il Papa ha anche rivolto i suoi «affettuosi auguri all’amato monsignor Fernando Ocáriz, prelato dell’Opus Dei, con il mio desiderio che il Signore continui ad aiutarlo a compiere il suo fedele e gioioso servizio alla Prelatura e a tutta la Chiesa, specialmente in questo anno di preparazione al suo giubileo sacerdotale» (Ocáriz fu ordinato nel 1971).

Meditando sulla figura del Buon Pastore, Parolin ha ricordato ai nuovi preti nella sua omelia che sull’esempio di Gesù ciascuno di loro è invitato a essere «fonte di vita, di misericordia, di semplicità». «Il ministero che assumete – ha aggiunto – è una questione di vita, non dimenticatelo mai», perché non si è chiamati «a fare cose, ma a dare e condividere la vostra vita, e così potete realizzare pienamente la chiamata ad agire nella persona di Cristo».

Un’identificazione che passa attraverso alcune caratteristiche, come «non essere introverso ma estroverso, non desideroso di essere rilevante ma di far conoscere Gesù», saper «coniugare la carità pastorale a una sana creatività, fedeltà e flessibilità, fede e cuore disponibile, andare alla ricerca degli altri piuttosto che aspettarli, accogliere e non rifiutare le domande più complesse di oggi, soprattutto quelle dei giovani».

Ispirandosi a santa Teresa di Calcutta, ricordata ieri dalla Chiesa, il cardinale ha poi messo in risalto quanto sia importante per un sacerdote la semplicità, che si coltiva «nel silenzio della preghiera» e si manifesta nel «condurre una vita ordinata, senza essere ingolfato in mille cose, che potrebbero mettere a repentaglio la semplicità di un cuore pienamente dedicato al Signore».

Tra i sacerdoti ordinati ieri c’è un italiano: don Giovanni Vassallo, 33enne palermitano, studi di filologia classica alla Sapienza e poi di teologia alla Pontificia Università della Santa Croce, professore di latino e letteratura in una scuola di Roma. A lui il tempo del Covid sta insegnando «una grande lezione, ovvero che il sacerdote è al servizio. Fa quello che serve, quello che vuole Dio».

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